domenica 12 maggio 2013

Leonardo, opere e commenti


Disegno con paesaggio della Val d'Arno.
Firenze, Uffizi, Gabinetto disegni e stampe.

Un aspetto che caratterizza i primi lavori leonardeschi è la grande attenzione dell'artista per il mondo naturale e la straordinaria abilità nel rappresentarlo. Il disegno mostra la veduta da Montalbano della Valdinievole e della palude Fucecchio. E' il primo lavoro certo e datato di Leonardo e costituisce al contempo una rarità: sembra infatti essere la prima rappresentazione paesaggistica dell'arte italiana che riproduca un paesaggio realmente esistente in un disegno libero. La rappresentazione della linea delle montagne con il castello, il cui tratteggio copre parzialmente il paesaggio disegnato prima, è un'aggiunta posteriore di Leonardo. Essa non è una rappresentazione dal vero di un luogo; oltre a ciò nel collegamento prospettico il castello rivela difetti, in quanto non poggia orizzontalmente sul terreno. Anche la cascata, notevolmente accentuata, fu aggiunta solo in seguito. Essa è resa con tratti semplici e forti che lasciano presumere che si tratti di un'osservazione fittizia. L'acqua si getta in un laghetto, le cui dimensioni sono particolarmente indefinite. Presenta applicazioni di modi convenzionali fiamminghi di rappresentazione del paesaggio.




Il Battesimo di Cristo.
Firenze, Uffizi


Leonardo comincia il suo tirocinio a Firenze intorno al 1469 presso Andrea del Verrocchio. La città era sotto la Signoria dei Medici e aveva registrato un incredibile sviluppo economico e culturale. Da due secoli essa era diventata una capitale artistica e il maggiore centro dell'Umanesimo, in cui trovarono terreno fertile nuove idee e nuove forme d'arte. Fra le più rinomate botteghe artistiche si annoverava quella del Verrocchio, il suo campo di attività si estendeva a quasi tutte le tecniche artistiche: scultura, fabbricazione di gioielli, pittura e architettura. E' in questo contesto che troviamo Il Battesimo di Cristo, unica opera di mano del Verrocchio in cui sia stata riconosciuta la partecipazione di Leonardo. La critica è generalmente favorevole a ritenere che il dipinto abbia avuto una lunga gestazione. Di palmare evidenza è il divario di stile che si coglie comparando brani diversi della pala: si notino ad esempio la consistenza scultorea e le durezze disegnative della figura del Battista a fronte della tenera nudità del Cristo che gli sta accanto, così come la veduta del paesaggio dietro i due angeli, carico di umidità e immerso nella foschia, rispetto alla ruvida quinta petrosa alle spalle del Battista. Più sottile ma sempre sottolineata è anche la differenza tra l'angelo all'estrema sinistra, visto di spalle, concordemente riconosciuto nell'angelo dipinto da Leonardo di cui parla il Vasari. Giovanni battezza Gesù versando l'acqua sul suo capo, le mani di Dio allargate, i raggio dorati e la colomba con le ali spiegate e l'aureola insieme alla croce contrassegnano Gesù come Figlio di Dio e come parte della Trinità. I due angeli sulla sinistra ( quello di cui sopra e l'altro forse dipinto dal Botticelli ) reggono la veste del battezzando. L'opera fu certamente eseguita per la chiesa di San Salvi a Firenze e venne menzionata dall'Albertini già nel 1510, con l'indicazione che Leonardo doveva aver dipinto la testa dell'angelo. Un disegno di questo soggetto si trova a Torino. Nella rappresentazione del Battesimo gli artisti si sono rifatti alle descrizioni dei Vangeli di Matteo e di Marco, ma soprattutto a più antiche convenzioni pittoriche. La palma, simbolo dell'albero del Paradiso, della redenzione e della vita, appare arcaica nella sua rappresentazione leggermente schematizzata. Contrastano questo arcaismo tutti gli altri elementi pittorici di cui sopra.                                                                                                    
L'Annunciazione
Tempera e olio su tela
Galleria degli Uffizi, Firenze


Nella composizione della Pala d'altare di grande formato, Leonardo ha ripreso in gran parte le rappresentazioni convenzionali del XV secolo: l'arcangelo Gabriele è inginocchiato nel giardino della Vergine che, seduta al banco, apprende di essere stata scelta per mettere al mondo il figlio di Dio. La scena è affiancata a destra da un edificio che sembra d'epoca, il centro è delimitato da un muro a mezza altezza interrotto da un piccolo passaggio. Questa apertura, che fa da sfondo al gesto di saluto di Gabriele e al giglio ( simbolo della purezza di Maria ) che questi tiene nella mano sinistra, permette di vedere un sentiero che si perde nella profondità del quadro. La sagoma di un piccolo bosco e le montagne all'orizzonte che si stagliano nitidamente sul cielo luminoso formano lo sfondo del quadro. L'annunciazione si pone come un'opera di grandissima modernità nel panorama fiorentino di quegli anni, originale innanzitutto è la scelta di ambientare in uno spazio aperto la scena sacra. E nel dipinto Leonardo sembra non limitarsi a una semplice osservazione delle specie botaniche, bensì tentare di suggerire la percezione visiva dello scompigliarsi del tappeto erboso in seguito alla turbolenza dell'aria provocata dall'arrivo in planata dell'angelo. Ciò che più colpisce è comunque l'aver dato all'incontro tra l'angelo e la Vergine, un momento dunque solenne qual'è quello dell'Incarnazione, una dimensione pienamente umana. L'attribuzione dell'opera a Leonardo appare accertata sulla base di uno studio autografo della manica per la  veste dell'angelo ma è considerata da molti studiosi un'opera collettiva di più artisti.















Ritratto di donna; Ginevra de' Benci
Olio su tavola
National Gallery of Art, Washington

Questo dipinto è il primo vero punto di riferimento nell'opera pittorica di Leonardo, in quanto è il primo quadro dipinto da lui che possa essere rapportato a una situazione documentata. Si allontana molto dai quadri religiosi della bottega del Verrocchio ed è anche il primo quadro “profano” dipinto dall'artista. La caratteristica più evidente di questo piccolo formato è la disposizione molto serrata dello spazio pittorico. Ginevra de' Benci, molto vicina al bordo del quadro, è seduta davanti ad un cespuglio di ginepro che sembra quasi cingerle la testa come una corona e nasconde la maggior parte dello sfondo. Questo genere di ritratto lo ritroviamo nella pittura fiamminga, è stato ideato una generazione prima da Jan Van Eyck e reso popolare da Hans Memling. Anche il formato del quadro, tagliato dal basso, così come la rappresentazione naturalistica del cespuglio di ginepro e la posizione del corpo, rimandano ai modelli fiamminghi. Il busto di Ginevra, leggermente obliquo rispetto alla superficie del quadro, contrasta con la testa rivolta quasi interamente verso lo spettatore, in modo che il personaggio presenta un certo dinamismo, malgrado la mancanza di espressività sul volto. Il colorito pallido di Ginevra, più che per esigenze compositive, corrisponde come da fonti al precario stato di salute della giovane. Il cespuglio di ginepro del piano intermedio, che domina il ritratto di Ginevra, è molto più di un semplice ornamento, ma risponde a un intendimento allegorico in quanto questa pianta, come alcune altre, simboleggiava la virtù femminile; inoltre si collega ovviamente al nome di Ginevra. Le allegorie si ripresentano sul retro della tavola, pure dipinto: su un fondo che imita il porfido rosso, fronde di alloro, di ginepro e di palma si intrecciano ad un cartiglio che riporta in lettere maiuscole la scritta VIRTVTEM FORMA DECORAT. L'iscrizione, le piante ed il marmo sottolineano il legame tra la virtù e la bellezza. Con il porfido rosso, molto raro e solido, il tema del retro del quadro è la costanza di virtù di Ginevra, le fronde di alloro e di palma, che incorniciano il cartiglio, richiamano lo stemma di Bernardo Bembo, committente del dipinto. Il ramo di Ginepro, nel centro, è un ulteriore simbolo del nome della protagonista e delle sue virtù quali la castità e la fedeltà. L'alloro, un sempreverde, si riferisce al contempo alle aspirazioni poetiche di Ginevra, riportate da Bembo e da altri letterati. La fronda di palma è un altro simbolo tradizionale di virtù.
Madonna Benois
Olio su tavola trasferita su tela.
Ermitage, San Pietroburgo


L'opera deve il suo nome ad uno dei suoi antichi proprietari.
Il quadro della Madonna Benois stupisce per il chiaro impianto compositivo e per la forte fisicità delle figure. Il dipinto descrive Maria e il Bambino con una vivacità sinora mai raggiunta. Maria, con evidente atteggiamento scherzoso e di diletto, porge all'infante nudo e paffuto un fiore, che questi cerca di afferrare con sguardo concentrato e con le ancora impacciate mani infantili. Lo sforzo del Bambino nell'afferrare il fiore, così come le sue proporzioni sono sicuramente riconducibili all'osservazione diretta. Che Leonardo abbia compiuto studi sul tema “Maria col bambino” utilizzando modelli veri è documentato da una magnifica serie di schizzi che cercano di cogliere i diversi momenti di gioco del bambino con un gattino ( poi rappresentato in altra opera ). Questi studi si riflettono in Madonna Benois, le figure sono convincenti e vere. Il dipinto è già così definito nelle sue caratteristiche che non si può pensare a nessun altro pittore fiorentino che non sia Leonardo.











San Girolamo
Olio su tavola
Roma, musei vaticani.

La tavola di San Girolamo affascina per la disposizione delle figure e per la profondità prospettica del paesaggio. L'applicazione della tinta di fondo determina i livelli di luminosità della composizione. La superficie scura delle formazioni rocciose e del paesaggio in primo piano fa emergere i profili di san Gerolamo e del Leone. Le vicine zone di luce creano un forte contrasto e permettono la vista sul paesaggio retrostante. L'artista libera la figura del santo dall'usuale iconografia in auge sino ad allora, che lo ritraeva come una piccola figura di penitente inginocchiato su ambedue le gambe ai margini del quadro. Leonardo rinuncia ad aggiungere a Girolamo i soliti attributi del libro e del cappello, il leone, necessario per l'identificazione del santo, ha perso la sua funzione unicamente simbolica a vantaggio di una più naturale sembianza animale. In tal modo Leonardo si allontanava dall'iconografia tradizionale conferendo al tema commissionatogli un'intensità sino a quel momento sconosciuta e raffigurando San Girolamo non più come un santo padre della chiesa bensì come un emaciato penitente senza barba. Non si conosce né il committente né il motivo della commissione, come per altri dipinti di Leonardo la datazione del San Girolamo non è accertata. Dalla tavola fu ritagliata la testa nel diciottesimo secolo, il dipinto fu ricomposto e restaurato solo nel diciannovesimo secolo.








Adorazione dei Magi
Olio su tavola
Galleria degli Uffizi, Firenze


L'incompiuta tavola, commissionata nel 1481, collega la plasticità delle figure a una costruzione prospettica sullo sfondo. Maria con il bambino, il re magio centrale e quello più giovane in primo piano formano un triangolo che ha la sua sommità la testa di Maria e si dispongono, per la prima volta nelle creazioni di Leonardo, in una figura piramidale. A Maria e ai due magi non è stata applicata alcuna pittura di fondo, ma solo delle leggerissime ombreggiature. Probabilmente furono lasciate per essere poi eseguite con colori puri e preziosi. Un simile modo di procedere non è pensabile in un'opera più tarda di Leonardo, che, successivamente nei suoi scritti, ebbe a criticare questa tecnica. Benchè rimasta incompiuta, l'Adorazione dei Magi con il suo gruppo principale simmetricamente composto, così distante dalla linearità delle composizione tradizionale, è considerata una delle opere più progredite della pittura fiorentina. Con essa, Leonardo mise in pratica le istanze albrtiane del quadro a carattere storico come nessun altro del suo tempo.    Tutte le figure partecipano a ciò che accade sulla scena. I nobili magi mostrano le loro emozioni con maggore dignità delle figure di accompagnamento che li circondano, e allo stesso tempo la totalità delle persone presenti è sorprendentemente contenuta. Le figure si raggruppano a cerchio intorno a Maria ed esprimono con gesti più o meno veementi la loro commozione di fronte alla prima rivelazione della divinità del Bambino Gesù. Il dipinto si distingue della rappresentazione tradizionale del tema dell'adorazione a Firenze per l'enigmatico scenario sullo sfondo, che mostra una battaglia a cavallo e un'incompiuta architettura di scale. Ciò conduce alla deduzione che il convento agostianiano di San Donato in Scopeto, che aveva commissionato il quadro, volesse in tal modo rendere intelleggibile una propria interpretazione teologica dell'adorazione. Eppure indipendentemente da tale pur istruttiva interpretazione teologica, il quadro rivela il suo fascino singolare nella descrizione dei più diversi stati d'animo e nel collegamento compositivo dei singoli gruppi. Questa forza d'attrazione viene accresciuta naturalmente dal suo stato d'incompiutezza, esattamente come nel caso del San Girolamo.



  




Madonna con il Bambino, San Giovannino e un angelo.
( Vergine delle Rocce )
Olio su tavola trasportato su tela
Parigi, Louvre.

La prima documentata presenza del dipinto delle collezioni reali francesi del dipinto risale al 1625, quando Cassiano dal Pozzo lo vide a Fontainebleau nella galleria delle pitture. Per quanto non sia sta ancora chiarita la strada attraverso cui il dipinto giunse in Francia, tra le ipostesi più accreditate vi è quella che sia stato sequestrato dai francesi in seguito all'invasione di Milano oppure che sia stato donato da Ludovico il Moro all'imperatore Massimiliano in occasione del matrimonio con la nipote Bianca Maria Sforza nel 1493.  Forse questa versione della vergine è stata dipinta per la cappella palatina della chiesa di San Gottardo, sorta sul liogo dell'antico battistero ambrosiano intitolato a San Giovanni alle Fonti, dove esisteva un tempo una comunità francescana. Questa ipotesi, che rende ragione sia dell'ispirazione potentemente francescana di cui e permeata l'opera sia protagonismo dato al San Giovannino, è avallata inoltre dalla notizia tramandata da alcune guide milanesi sei-settecentesche che menzionano l'esistenza un tempo in San Gottardo di una pala dipinta da Leonardo. L'indicazione fornita da queste fonti riguardo al successivo trasferimento del dipinto di San Gottardo nella chiesa di San Francesco Grande, a seguito dello spostamento dei francescani voluto da Ludovico il Moro che non sopportava più la loro presenza è invece da considerarsi sbagliata. In San Francesco Grande, invece, si trova la versione Londinese a quel tempo. La versione francese è un'opera ancora fortemente legata all'esperienza fiorentina di Leonardo ed è pertanto databile ai primissimi anni del soggiorno milanese. Lo dimostra innanzitutto il tema, legato al culto eminentemente fiorentino di San Giovanni Battista bambino e il fatto che in quest'opera Leonardo sembra ancora meditare sull'esperienza nella bottega del Verrocchio. Lo si legge chiaramente nel modo in cui è impostata la scena costruita per assi diagonali, nell'analitica indagine condotta sulla rigogliosa vegetazione, nella concezione della luce tramata di ombre e riverberi, nella ricerca di eleganza formale espressa dall'angelo. Il dipinto trae ispirazione dall'episodio, tramandato dai vangeli apocrifi, secondo cui la Sacra Famiglia, durante la fuga in Egitto, avrebbe cercato rifugio in una grotta dove avrebbe ricevuto la visita di San Giovannino, rimasto orfano dopo la morte di Elisabetta, prima che questi conducesse una vita eremitica e iniziasse una missione di prefigurazione della venuta di Cristo. Centrale risulta infatti nel dipinto francese la figura del San Giovannino, su cui converge l'attenzione dei partecipanti alla scena sacra: additato dall'angelo che rivolge lo sguardo allo spettatore, è ritratto in atteggiamento adorante inginocchiato accanto alla Vergine, che lo protegge accogliendolo entro il suo manto, allusione alla fragilità del genere umano bisognoso della protezione divina, mentre riceve la benedizione di Cristo Bambino.

Vergine delle Rocce
Olio su tavola
Londra National Gallery

Il dipinto costituiva lo scomparto centrale dell'ancona lignea commissionata dalla confraternita dell'Immacolata Concezione per la propria cappella di San Francesco Grande a Milano. Vi rimase fino agli anni Ottanta del Settecento, quando fu acquistato dal pittore inglese Hamilton dall'Ospedale di Santa Cristina a cui la confraternita dell'Immacolata Concezione era stata annessa. Dopo alcuni passaggi nel collezionismo inglese, giunse nel 1880 nella sede attuale. Esiste una documentazione archivistica molto complessa relativa a questa ancona che comprende, oltre al contratto del 1489, anche gli atti di lunga controversia giudiziaria insorta per la consegna ed il pagamentop dell'opera, conclusasi solo nel 1508 con il saldo finale. Alcuni studiosi hanno supposto che il dipinto inglese abbia avuto tempi di gestazione molto lunghi: iniziato negli anni Novanta saebbe stato terminato solo dopo il 1506, data dal rientro in Lombardia di Leonardo, che si sarebbe anche avvalso della collaborazione di Ambrogio de Predis per assolvere alla doratura e per completare l'ancona con i due pannelli laterali, raffiguranti due angeli musici. Questa Vergine è un dipinto ancora quattrocentesco, la cui esecuzione, precedente di certo l'Ultima cena, deve cadere attorno al 1490, a cui giudicare dai riflessi ch'essa ebbe sulla pittura milanese. Rispetto al precedente parigino si avverte una nuova ricerca di monumentalità: le figure, disposte secondo uno schema piramidale che trova il suo vertice nella Vergine, si assestano sul primo piano e assumono un grande risalto plastico, emergendo dalla cavità rocciosa che rimane confinata nel fondo. Una luce fredda e lunare, che si estende come un manto sulle forme, conferisce al gruppo delle figure una volumetria statuaria e un'intonazione più solenne.









La Scapigliata
tavola
Pinacoteca Nazionale di Parma


Il volto della scapigliata possiede una forza espressiva ancora più marcata della Leda in piedi ma ha la stessa inclinazione del capo. Data la mancanza di ornamenti, questo viso dallo sguardo lieto e pensoso potrebbe appartenere ad una madonna. Le forti pennellate di grande effetto, che tratteggiano i capelli, sono abbastanza insolite per Leonardo e costituiscono, probabilmente, un'aggiunta a posteriori.






Madonna Litta
Olio su tavola
San Pietroburgo, museo dell'Ermitage.


Il dipinto devozionale più famoso uscito dalla bottega di Leonardo intorno al 1490 è la cosiddetta Madonna Litta, la cui attribuzione è al centro di un accesissimo dibattito critico: raramente attribuita al solo Leonardo, è stata più spesso riferita a Leonardo con l'assistenza di un allievo o viceversa ad un allievo di Leonardo con l'assistenza del maestro; o ancora, interamente a uno dei più bravi allievi, in particolare Giovanni Antonio Boltraffio. Tipica del Boltraffio appare del resto l'interpretazione in chiave altamente decorativa delle invenzioni del maestro, quale risulta evidente nel modo in cui le sagome della Vergine e del Bambino si ritagliano sul fondale scuro inscrivendosi perfettamente tra le due finestre ad arco. Uno studio preliminare per quest'opera, valutato come autentico di Leonardo, dimostra tuttavia la sua partecipazione diretta al progetto di questo quadro.



Il Cenacolo
Ultima Cena
Olio e tempera su intonaco
Milano, refettorio di Santa Maria delle Grazie

Realizzato fra il 1495 ed il 1497, il dipinto murale del Cenacolo, eseguito con una tecnica che lo rese poco resistente al tempo, la pittura a tempera, ha mostrato fin dal XVI secolo i primi segni di degrado, che incessanti lavori di restauro hanno tentato di bloccare. Malgrado il suo pessimo stato dfi conservazione, l'opera non ha perso nulla della sua imponenza: più volte copiata, ricreata e riprodotta, è rimasta la variante più nota su questo tema. Come gli artisti fiorentini prima di lui, Leonardo ha collocato l'ultima cena in uno spazio teatrale costruito secondo le regole della prospettiva centrale. Le linee della prospettiva si ricongiungono nell'occhio destro di Cristo fulcro della composizione e dello spazio pittorico. L'artista ha immortalato l'istante nel quale Gesù, seduto a tavola con i suoi discepoli annuncia “ In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà ”. I discepoli esprimono la loro sorpresa ed il loro spavento con gesti e reazioni diversi: a capotavola a sinistra Bartolomeo sdegnato, si alza dalla sedia, di fianco a lui Giacomo il giovane e Andrea sollevano le mani in gesto di sorpresa. Anche Pietro si alza dalla sedia e volge, con il viso corrucciato, verso il centro del tavolo. Davanti a lui c'è Giuda, che arretra, spaventato, tenendo stretta nella mano destra la borsa contenente il denaro del tradimento. Per la prima volta nella storia delle rappresentazioni dell'ultima cena, dopo il Medioevo, Giuda non è più seduto davanti ma dietro al tavolo. E' quindi vicino a Giovanni, che reagisce con ritengo, meditando, con le mani giunte. In posizione centrale davanti alla finestra c'è Gesù, il cui atteggiamento, rispetto agli altri, è impassibile. E' affiancato sull'altro lato da altri due gruppi composti da tre discepoli ciacuno: Tommaso, Giacomo il vecchio e Filippo, poi Matteo, Taddeo e Simone. Rispetto ai pittori contemporanei Leonardo rende l'azione dinamica, suddividendo i dodici apostoli in quattro diversi gruppi e calibrando con precisione i gesti e le mimiche di ciascun personaggio. Estratti, schizzi e disegni preliminari per l'Ultima Cena, unitamente a racconti di testimoni oculari, documentano gli sforzi considerevoli che l'artista dovette mettere in atto per ottenere gesti e mimiche di adeguata espressività. ( Opera commissionata da Ludovico Sforza, duca di Milano )

Ritratto di dama con ermellino
Cecilia Gallerani
Olio su tavola
Museo di Cracovia


Il Ritratto di Cecilia Gallerani, la cosiddetta Dama con l'Ermellino, costituisce una svolta significativa nella pittura di Leonardo, già suggerita nella versione ritoccata del musico. Leonardo concepiva l'uomo non solo come mera forma esteriore da imitare, ma come un individuo parlante dotato di una specifica sfera emotiva. Qualche cosa di non identificato attrae l'attenzione del soggetto rappresentato; la Dama si è infatti voltata e guarda oltre le sue spalle, impulso che anche l'ermellino sembra seguire. L'osservatore è attratto dal comportamento della donna, vuole sapere chi ha catturato la sua curiosità e in tal modo emula il suo stato d'animo. Leonardo utilizza in pittura un fenomeno che già Aristotele aveva citato nella sua poetica: l'innata inclinazione all'imitazione. In questo ritratto, Leonardo, lega l'osservatore ad una messa in scena creando in lui un'attesa che non si risolve. L'ermellino ( che ermellino non sarebbe, somiglia molto più ad un furetto ) è da un lato l'allusione al nome di famiglia di Cecilia ed è dall'altro lato simbolo di purezza e modestia, visto che secondo la leggenda aveva orrore della polvere e mangiava solo una volta al giorno. Era anche uno dei simboli di Ludovico Sforza, che lo utilizzava come uno dei suoi embelmi. Cecilia era la favorita del signor Sforza, questo quadro sicuramente è stato in possesso di costui in ricordo dei bei momenti passati con la ragazza prima del matrimonio con la Beatrice d'Este.










La Belle Ferronière
Olio su tavola
Parigi, Louvre.

Il dipinto registrato fin dal 1642 nelle raccolte reali a Fontainbleau, rende il nome da un'amante di Francesco I, ma tale indicazione non ha alcun fondamento dato che non corrisponde cronologicamente all'epoca in cui fu eseguito. Si tratta in realtà del ritratto di una gentildonna milanese di controversa identificazione, si è a lungo creduto che fosse effigiata Lucrezia Crivelli, entrata nelle grazie del Moro subito dopo la morte di Beatrice, ma questo non è sostenibile perchè comporterebbe una datazione addirittura oltre l'iltima cena. Si è anche supposto, visto il marcato sapore cortigiano del ritratto, che vi fosse ritratta la stessa Beatrice, ma l'immagine che di lei ci viene restituita da alcuni ritratti sicuri non sembra corrispondere a quella del dipinto del Louvre. Un'altra ipotesi è che si tratti di Isabella d'Aragona che andò sposa a Gian Galeazzo. Chiunque ella sia, l'artista porta a pieno compimento quanto precedentemente sperimentato in campo ritrattistico, riuscendo a cogliere con grande naturalezza e apparente disinvoltura l'attimo in cui la figura femminile ruota la testa verso lo spettatore e volge quasi impercettibilmente lo sguardo alla sua sinistra, come attratta da una voce fuori campo, senza per questo rinunciare alla sua salda impostazione nello spazio. L'assenza delle mani, nascoste dal parapetto, porta a concentrare l'attenzione sul viso  sugli occhi della modella, che catturano lo sguardo del riguardante con forza quasi ipnotica. Il grande fascino del dipinto è affidato al magistrale uso della luce, che svolge un ruolo fondamentale nel porre in evidenza il punto focale rappresentato dal volto, il cui modellato di grande bellezza è messo in risalto dalla sapiente partitura chiaroscurale.







Ritratto di Musico
Olio su tavola
Milano, Pinacoteca Ambrosiana


Si ritiene che generalmente che il dipinto non abbia fatto parte dell'originario nucleo di opere donate al Cardinale Federico Borromeo dell'Ambrosiana, dato che risulta registrato per la prima volta solo nel 1671 da Agostino Santagostino che lo indica come opera del Leonardo. Sono state formulate diverse ipotesi sulla provenienza della tavola, ma manca  qualsiasi riscontro documentario. Potrebbe essere un pendant con la Dama con la reticella di perle che nell'ottocento si credeva fosse la Beatrice d'Este e quindi questo farebbe del musico Ludovico Sforza. Un restauro riporta alla luce il cartiglio che il musico tiene nella mano e sembra che la scritta riporti ad un trattato di Franchino Gaffurio ma l'aspetto molto giovane dell'effigiato sembra entrare in conflitto con l'età del Gaffurio doveva avere al tempo della rappresentazione del ritratto, generalmente datato sul finire degli anni ottanta, primi anni novanta. Alla corte degli Sforza giravano anche un paio di musici famosi come Des Prez oppure Migliorotti e francamente potrebbero essere entrambi con le stesse probabilità. E', comunque, un'opera incompleta: la casacca è ferma alla preparazione rossastra mai portata a termine evidentemente. Il volto del musico è fatto emergere con deciso vigore plastico dal fondo scuro, abbiamo un' intensa caratterizzazione espressiva del personaggio effigiato. Vi è un senso naturalistico nel descrivere la potente struttura del volto che, nella forte accentuazione anatomica, rivela la precisione degli studi scientifici condotti da Leonardo sulla struttura ossea dei crani, testimoniataci in una piccola serie di studi a penna conservata a Londra.














La dama dalla reticella di perle
Milano, pinacoteca Ambrosiana

Nonostante le molte ipotesi formulate nel tempo (da Olga von Gerstfeld a Gustavo Uzielli a Julia Cartrwight e numerosi altri), non si è riusciti finora a offrire prove sostenibili circa l'identità della dama dell'Ambrosiana, meglio conosciuta come la Dama con la reticella di perle.Molti i nomi proposti, incluso quello di Beatrice d’Este (identificazione ormai caduta, data la fisionomia del tutto dissimile). Fermamente creduto leonardesco per la lunga vicinanza fisica col Ritratto di musico, è oggi dai più attribuito ad Ambrogio de Predis. Una recente ricerca di Carla Glori ha posto in luce numerosi elementi che convergono nell’identificare la sconosciuta con Isabella d’Aragona: si tratterebbe del suo ritratto nuziale datato all’incirca 1490, come conferma il confronto svolto con la Dama con l’ermellino di Leonardo, che ha rivelato oltre ad affinità nell’abito, (ispirato alla moda spagnola antecedente l’arrivo di Beatrice d’Este, che introdusse la moda sforzesca dei nastri e dei “vinci”, mutuata da Niccolò da Correggio), soprattutto l’identico dettaglio della ciocca di capelli passata sotto il mento, un’usanza evidentemente in voga presso la corte milanese tra la fine del 1480 e l’inizio del 1490, adottata da entrambe le modelle. Tra i vari altri indizi addotti, che convergono a identificare la dama dell’Ambrosiana in una sposa degli Sforza - assume particolare rilievo la collana della sconosciuta unitamente al fermaglio-gioiello posto sulla sua spalla sinistra. Infatti, attraverso la comparazione mirata di ritratti nuziali delle principesse Sforza, si è potuto stabilire che la collana è identica (tranne che per lo smeraldo) a quella indossata da Beatrice d’Este (nel ritratto attribuito a de Predis della Christ Church Picture Gallery di Oxford e in quello del tutto simile di Alessandro Araldi, nella Galleria degli Uffizi di Firenze, entrambi datati 1491 circa); identica collana è indossata pure da Bianca Maria Sforza (Ambrogio de Predis, National Gallery Washington, 1493). Che la collana indossata da Beatrice d'Este sia il dono nuziale di Ludovico non vi è dubbio, poiché dal Malaguzzi-Valeri (La Corte di Ludovico il Moro) sappiamo che nell’agosto 1490 egli inviò alla futura sposa una bella collana cum perle grosse ligate in fiori d'oro et uno bello zoglielo da attachare a dicta collana, nel quale è uno bellissimo smiraldo de grande persona, et uno balasso (rubino) et una perla in forma de un pero. Nel 1493, al matrimonio della nipote Bianca Maria con l’imperatore, il Moro evidentemente replicò il costosissimo dono della collana. Quindi la collana della sconosciuta è un tipico dono nuziale degli Sforza e in particolare il dono del giovane duca Gian Galeazzo Sforza ad Isabella. Pure su una miniatura del Birago del 1490, dedicata allo sposo di Isabella d’Aragona e sulla spalla sinistra dell’ava Bianca Maria Visconti (B. Bembo, Pinacoteca di Brera, 1460 circa), ricompare la gemma rossa con perle che adorna la spalla sinistra della sconosciuta dell’Ambrosiana, quasi a confermare in quel gioiello una tradizione famigliare. Infine tutto converge nell’identificare la ventenne moglie del duca Gian Galeazzo. Isabella d'Aragona era una Sforza, in quanto figlia di Ippolita Maria Sforza e nipote di Bianca Maria Visconti. Nel 1490 aveva vent’anni. Inoltre sappiamo da testimonianze dell’epoca che aveva capelli scuri e occhi scuri, al pari di quelli della “rorida fanciulla di pastosa bellezza “del ritratto (come la definisce Franco Russoli). L’abito è nero, un colore che non si addice a una sposa, ma piuttosto richiama il lutto: infatti poco prima del matrimonio morì sua madre e i festeggiamenti furono rimandati di un anno. Il rosso, a contrasto del nero, ben si addice al suo carattere fiero e indomito. Nella ricostruzione della personalità della modella, viene richiamata pure la copia, ignota ai più, del ritratto dell’Ambrosiana conservata all’Ashmolean Museum di Oxford, Portrait of an unknown woman, di pittore anonimo, che riproduce il medesimo profilo. La studiosa ritiene che chi eseguì la copia, pur in età più tarda, conosceva l’identità della modella, poiché sulla sua spalla sinistra l’osservatore può riconoscere l’emblema della colomba (ricorrente in fregi e bandiere sforzesche); inoltre l’aspetto della donna - che vi compare in età più matura, con gli stessi gioielli ma vestita di un saio dimesso e con il simbolo del martirio - richiama alla mente la storia della infelice Isabella, precocemente vedova e madre infelice a cui sottrassero il piccolo Francesco, che si firmava “Isabella de Aragona Sforcia ducissa Mediolani unicha ne la desgracia”.






Sant'Anna, la madonna, il bambino e San Giovannino.
Carboncino, matita nera e gesso bianco su carta montata su tela
Londra, Galleria nazionale.

La collocazione cronologica del cartone Londinese è stata oggetto di un lungo dibattito critico da cui sono emerse proposte di datazione che oscillano alla fine del primo soggiorno milanese di Leonardo al primo decennio del Cinquecento. E' comunque certo che Leonardo abbia portato con sé il cartone della Sant'Anna nel secondo soggiorno nella città lombarda date le numerose derivazioni dalla composizione vinciana riscontrabili nelle opere prodotte dai seguaci milanesi successivamente al suo rientro in Lombardia. Quanto alla commissione non si ha alcun dato certo. I sostenitori di una datazione anticipata del cartone, alla fine del primo soggiorno milanese, suppongono possa trattarsi di una commissione francese di Luigi XII che avrebbe così voluto rendere omaggio alla seconda moglie Anna di Bretagna; un'altra ipotesi avanzata da quanti ritengono che sia stato realizzato a Firenze nei primi anni del secolo, è che l'opera non risponda invece a nessuna commissione specifica e che sia stata realizzata da Leonardo nel tentativo di guadagnarsi i favori del governo, scegliendo un soggetto, quello della Sant'Anna, che era gradito alle aspirazioni repubblicane della città e che avrebbe dimostrato il giusto schieramento politico dell'artista.  La sant'Anna sta a destra della Vergine, la quale siede di traverso sulle sue ginocchia, mentre il Bambino disteso sul grembo della madre si protende verso il San Giovannino che, in una posizione di metà tra genuflessa e in piedi sta accanto al gruppo sacro. Nel cartone le figure si assestano sul primo iano grandiose e monumentali la composizione è perfettamente bilanciata: i movimenti lenti e fluidi delle figure risultano molto controllati, così da dare un senso di grande stabilità all'intero gruppo che, inscritto entro un'unica forma ovale, risalta per la solennità scultorea. L'intonazione melodica,  insita nell'articolazione delle giure e nel cadenzato drappeggio delle vesti, che sottolineano la pienezza delle forme, si riflette anche nella dolce  e tenera espressività pervasa da effetti umani e al tempo stesso misteriosa.

ñ  Nel 1986 un vandalo spara al petto della vergine, al cartone ovviamente. Lo danneggia seriamente e durante il restauro ne esce che non fu mai utilizzato per essere trasportato su un altro supporto.
ñ  La mano di sant'Anna è troppo grande in proporzione.






  


Madonna dei Fusi
Olio su tavola
Edimburgo, collezione privata.


L'unica testimonianza relativa al dipinto è quella che lo riconduce al 1501 in lavorazione nello studio di Leonardo ed è di un Priore Carmelitano. Isabella d'Este prega il priore di sollecitare Leonardo per un suo ritratto, questo replica descrivendo l'attività del maestro e di conseguenza quest'opera.
Il soggetto prescelto rinnova l'iconografia tradizionale della Madonna con il bambino, introducendo un elemento del tutto nuovo e di forte valenza simbolica, l'aspo   attorno a cui si avvolgono le fibre durante la filatura, che diventa oggetto di gioco da parte del bambino il quale lo sottrae alla madre, beffandosi dell'operosità di quest'ultima. Nell'instabilità del gruppo, caratterizzato dalla rotazione della Madre su se stessa per trattenere il figlio che si protende di scatto in avanti per afferrare il fuso, sembra riflettersi lo scontro tra le opposte tensioni emotive dei due personaggi: da un lato l'ingenuità del bimbo, ignaro della minaccia implicita in quello strumento che, data la forma a doppia croce, è da sempre ritenuto nella cultura cristiana un esplicito riferimento alla morte e alla passione di cristo; dall'altra la complessa reazione della Madre oscillante tra la sorpresa, evidente nel gesto della mano sospesa a mezz'aria, e la piena consapevolezza dell'ineluttabilità della triste sorte qui prefigurata.

 With love , D. 







1 commenti:

Unknown
25 dicembre 2013 alle ore 20:44

Le mani di Gesù dipinte da Leonardo nel Cenacolo, uniche nel dipinto, una con la palma verso il basso e l'altra verso l'altro indicano che Gesù era ambidestro come naturalmente era Leonardo e in parte Michelangelo? Cfr. ebook di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

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