Preistoria
IL PALEOLITICO E IL MESOLITICO
CRONOLOGIA DEL
QUATERNARIO
Con il termine Quaternario sono indicate le ultime fasi della storia geologica della Terra, caratterizzate da una forte instabilità climatica, pur nell’ambito di una moda fredda, dall’estinzione di alcune specie animali e dalla diffusione dell’uomo.
Il Quaternario inizia circa 2,6 Ma e comprende le epoche del Pleistocene e dell’Olocene.
Il Pleistocene viene suddiviso in Inferiore, Medio e Superiore (il limite Inferiore-Medio corrisponde all’inversione di polarità tra le epoche paleo magnetiche Matuyama e Bruhnes 780ka; Medio-Superiore è posto al limite inferiore dello stadio isotopico 5e 128ka; Superiore-Olocene è collocato a 10000 anni fa in base alla datazione C14 della fine dell’ultima pulsazione fredda).
Il clima del Quaternario, pur generalmente rigido, è caratterizzato dall’alternanza di fasi fredde e fasi calde, i cui estremi sono le glaciazioni e gli interglaciali.
Nel 1909 nella regione alpina vennero distinte quattro glaciazioni denominate Günz, Mindel, Riss e Würm dai nomi degli affluenti del Danubio, separate da interglaciali. Al loro interno erano fatte ulteriori distinzioni in stadi (freddi) e interstadi (temperati).
Il solo studio dei fenomeni glaciali non consentiva di identificare gli articolati cambiamenti climatici e ambientali del Quaternario; sono state dunque ricercate altre fonti di informazioni tra cui la più efficace è risultata la stratigrafia isotopica, fondata sulla ricostruzione della temperatura terrestre in base al contenuto degli isotopi stabili 16 e 18 dell’ossigeno presenti nei carbonati e nei ghiacci continentali. Verificando i contenuti di O16 e O18 si è definita una sequenza di “stadi isotopici dell’ossigeno”
(OIS = Oxygen Isotopic Stage). Gli stadi col numero pari sono fasi fredde, quelli col numero dispari sono fasi calde. Attualmente ci troviamo nello stadio 1, corrispondente all’Olocene.
Durante l’ultima glaciazione (Würm) la massima intensità si è verificata in 22ka BP; in questa fase, definita Ultimo Massimo Glaciale, si ebbe la maggiore espansione dei ghiacciai alpini e dell’innlandsis.
Nell’emisfero boreale a partire da circa 15ka BP si verifica una profonda modificazione climatica e ambientale, preludente all’assetto olocenico: questo periodo è definito Tardoglagiale.
L’Olocene perdura tuttora ed è suddiviso nelle seguenti crono zone: Preboreale, Boreale, Atlantico, Subboreale, Subatlantico.
Con il termine Quaternario sono indicate le ultime fasi della storia geologica della Terra, caratterizzate da una forte instabilità climatica, pur nell’ambito di una moda fredda, dall’estinzione di alcune specie animali e dalla diffusione dell’uomo.
Il Quaternario inizia circa 2,6 Ma e comprende le epoche del Pleistocene e dell’Olocene.
Il Pleistocene viene suddiviso in Inferiore, Medio e Superiore (il limite Inferiore-Medio corrisponde all’inversione di polarità tra le epoche paleo magnetiche Matuyama e Bruhnes 780ka; Medio-Superiore è posto al limite inferiore dello stadio isotopico 5e 128ka; Superiore-Olocene è collocato a 10000 anni fa in base alla datazione C14 della fine dell’ultima pulsazione fredda).
Il clima del Quaternario, pur generalmente rigido, è caratterizzato dall’alternanza di fasi fredde e fasi calde, i cui estremi sono le glaciazioni e gli interglaciali.
Nel 1909 nella regione alpina vennero distinte quattro glaciazioni denominate Günz, Mindel, Riss e Würm dai nomi degli affluenti del Danubio, separate da interglaciali. Al loro interno erano fatte ulteriori distinzioni in stadi (freddi) e interstadi (temperati).
Il solo studio dei fenomeni glaciali non consentiva di identificare gli articolati cambiamenti climatici e ambientali del Quaternario; sono state dunque ricercate altre fonti di informazioni tra cui la più efficace è risultata la stratigrafia isotopica, fondata sulla ricostruzione della temperatura terrestre in base al contenuto degli isotopi stabili 16 e 18 dell’ossigeno presenti nei carbonati e nei ghiacci continentali. Verificando i contenuti di O16 e O18 si è definita una sequenza di “stadi isotopici dell’ossigeno”
(OIS = Oxygen Isotopic Stage). Gli stadi col numero pari sono fasi fredde, quelli col numero dispari sono fasi calde. Attualmente ci troviamo nello stadio 1, corrispondente all’Olocene.
Durante l’ultima glaciazione (Würm) la massima intensità si è verificata in 22ka BP; in questa fase, definita Ultimo Massimo Glaciale, si ebbe la maggiore espansione dei ghiacciai alpini e dell’innlandsis.
Nell’emisfero boreale a partire da circa 15ka BP si verifica una profonda modificazione climatica e ambientale, preludente all’assetto olocenico: questo periodo è definito Tardoglagiale.
L’Olocene perdura tuttora ed è suddiviso nelle seguenti crono zone: Preboreale, Boreale, Atlantico, Subboreale, Subatlantico.
EVOLUZIONE BIOLOGICA DELL’UOMO
PROVE BIOLOGICHE E PALEONTOLOGICHE
Allo stato attuale delle ricerche esistono prove più che convincenti che confermano come l’evoluzione sia stata un processo reale e ci mostrano in modo altamente probante quali siano stati i nostri antichi progenitori.
▪ Ibridazione del DNA: i filamenti a doppia elica vengono colpiti da isotopi radioattivi e separati col calore. Poi si uniscono con altri DNA che si scinderanno a temperature sempre più alte quanto più stretto è il legame di parentela.
▪Ricombinazione del DNA nucleare e mitocondriale: vengono rotti i filamenti di DNA in punti determinati; ciò permette di individuare le sequenze di DNA condivise tra le diverse specie di primati.
▪Immunologia: con tecniche immunologiche si ottiene l’antisiero umano da animala da laboratorio. L’antisiero fa precipitare le albumine dei primati in modo decrescente a seconda del grado di parentela con l’uomo.
▪Tecniche biomolecolari: consistono in analisi di proteine che hanno cariche elettriche.
Allo stato attuale delle ricerche esistono prove più che convincenti che confermano come l’evoluzione sia stata un processo reale e ci mostrano in modo altamente probante quali siano stati i nostri antichi progenitori.
▪ Ibridazione del DNA: i filamenti a doppia elica vengono colpiti da isotopi radioattivi e separati col calore. Poi si uniscono con altri DNA che si scinderanno a temperature sempre più alte quanto più stretto è il legame di parentela.
▪Ricombinazione del DNA nucleare e mitocondriale: vengono rotti i filamenti di DNA in punti determinati; ciò permette di individuare le sequenze di DNA condivise tra le diverse specie di primati.
▪Immunologia: con tecniche immunologiche si ottiene l’antisiero umano da animala da laboratorio. L’antisiero fa precipitare le albumine dei primati in modo decrescente a seconda del grado di parentela con l’uomo.
▪Tecniche biomolecolari: consistono in analisi di proteine che hanno cariche elettriche.
Le prove paleontologiche si basano sui
resti ossei fossilizzati e sulle tracce biologiche e culturali. I componenti
della famiglia degli ominidi si distinguono inizialmente dagli altri primati
per la postura eretta costante e il bipedismo. Attualmente sono accettati 3
diversi modelli di adattamento per spiegare l’origine della stazione eretta e
della deambulazione bipede:
▪ ecologico: preadattamento alla postura eretta sul terreno, lasciando momentaneamente gli alberi, per raccogliere il cibo.
▪ comportamentale: privilegia l’aspetto sociale; tutti i maschi del gruppo sarebbero impegnati nella ricerca del cibo che veniva poi offerto alla compagna e alla prole.
▪ termoregolatore: la posizione verticale del corpo sarebbe stata la più adatta per ridurne il riscaldamento.
▪ ecologico: preadattamento alla postura eretta sul terreno, lasciando momentaneamente gli alberi, per raccogliere il cibo.
▪ comportamentale: privilegia l’aspetto sociale; tutti i maschi del gruppo sarebbero impegnati nella ricerca del cibo che veniva poi offerto alla compagna e alla prole.
▪ termoregolatore: la posizione verticale del corpo sarebbe stata la più adatta per ridurne il riscaldamento.
Un primo indizio del bipedismo sembra
riconoscibile nei resti di Orrorin
tugenensis risalenti a circa 6Ma. Sensazionale è stata la scoperta delle
impronte fossili di Laetoli in Tanzania datate 3,8Ma. Compaiono la pressione
del calcagno, l’arco plantare come nelle nostre impronte e il pollice
leggermente aperto rispetto alle altre dita, carattere interpretato come
indizio della pratica della vita arboricola ma presente anche in gruppi di
umani attuali che non usano calzature.
Le evidenze paleoecologiche e paleo ambientali sembrano provare che il bipedismo sia comparso in ambiente di foresta e quindi il modello ecologico pare il più plausibile, mentre quello termoregolatore, che prevede la savana aperta, può spiegare l ‘evoluzione del bipedismo nel genere Homo.
Le evidenze paleoecologiche e paleo ambientali sembrano provare che il bipedismo sia comparso in ambiente di foresta e quindi il modello ecologico pare il più plausibile, mentre quello termoregolatore, che prevede la savana aperta, può spiegare l ‘evoluzione del bipedismo nel genere Homo.
I PRIMI OMINIDI
Le forme più antiche di ominidi sono le più problematiche:
▪ Orrorin tugenensis: 6Ma in Kenya. Il femore pare attestare la stazione eretta. Dieta vegetariana.
▪ Ardipithecus ramidus: 5,3-4,4Ma. Base cranica è più accorciata. Forame magno spostato in avanti è segno di stazione eretta.
▪ Australopithecus anamensis: 4,2-3,9Ma. Diastema fra i denti. Differenza netta tra maschi e femmine.
▪ Australopithecus afarensis: 3,8-3,0Ma. Lucy. Etiopia e Tanzania. Era bipede ma si arrampicava sugli alberi. Capacità cranica 350cc. Vive nella foresta-savana. Dieta vegetariana.
▪ Australopithecus bahreghazali: 3,5-3,0Ma. Ciad, quindi altra zona.
▪ Austtralopithecus africanus: 3,5-3,4Ma in Sud Africa. È il primo a essere rinvenuto. “Bambino di Taung” era ritenuto una piccola scimmia; da lì il nome “pithecus”.
▪ Australopithecus garhi: 2,5Ma, Etiopia. Prognatismo facciale = quando dal naso in giù la faccia sporge in avanti. Convive con i primi parantropi.
▪ Kenyanthropus platyops: Kenya. Faccia piatta. Capacità cranica 400cc. Vegetariano.
▫ PARANTROPI: Platyops, Aethiopicus, Boisei, Robustus = vicini all’uomo. Hanno convissuto col genere
homo. L’ultimo, il Robustus, è datato 1,8-1,6Ma; il primo, il Platyops, a 2,5Ma. Masticazione possente,
perché dovevano masticare carne dura.
Le forme più antiche di ominidi sono le più problematiche:
▪ Orrorin tugenensis: 6Ma in Kenya. Il femore pare attestare la stazione eretta. Dieta vegetariana.
▪ Ardipithecus ramidus: 5,3-4,4Ma. Base cranica è più accorciata. Forame magno spostato in avanti è segno di stazione eretta.
▪ Australopithecus anamensis: 4,2-3,9Ma. Diastema fra i denti. Differenza netta tra maschi e femmine.
▪ Australopithecus afarensis: 3,8-3,0Ma. Lucy. Etiopia e Tanzania. Era bipede ma si arrampicava sugli alberi. Capacità cranica 350cc. Vive nella foresta-savana. Dieta vegetariana.
▪ Australopithecus bahreghazali: 3,5-3,0Ma. Ciad, quindi altra zona.
▪ Austtralopithecus africanus: 3,5-3,4Ma in Sud Africa. È il primo a essere rinvenuto. “Bambino di Taung” era ritenuto una piccola scimmia; da lì il nome “pithecus”.
▪ Australopithecus garhi: 2,5Ma, Etiopia. Prognatismo facciale = quando dal naso in giù la faccia sporge in avanti. Convive con i primi parantropi.
▪ Kenyanthropus platyops: Kenya. Faccia piatta. Capacità cranica 400cc. Vegetariano.
▫ PARANTROPI: Platyops, Aethiopicus, Boisei, Robustus = vicini all’uomo. Hanno convissuto col genere
homo. L’ultimo, il Robustus, è datato 1,8-1,6Ma; il primo, il Platyops, a 2,5Ma. Masticazione possente,
perché dovevano masticare carne dura.
ORIGINE DEL GENERE HOMO
I mutamenti climatici verificatisi circa 2,5Ma determinarono la comparsa di un ambiente sempre più arido; questi cambiamenti causarono l’estinzione di alcune specie di australopicine e l’evoluzione dei parantropi e del genere Homo. Non si conosce ancora da quale specie si siano evolute le prime forme umane; è stato ipotizzato che il Kenyanthropus platyops potrebbe essere il progenitore per alcuni caratteri in comune con Homo rudolfensis. Nel genere Homo la dieta prevalentemente vegetariana delle australopicine divenne onnivora ed iniziò la fabbricazione di strumenti in pietra. I manufatti litici che producevano non si presentano mai come armi da offesa, ma strumenti utili alla macellazione di carcasse; i vegetale potevano comunque rappresentare un’importante componente della loro dieta.
▪ Homo rudolfensis: 2,4-1,6Ma. Lago Turkana, Kenya. All’inizio sembrava homo habilis. Capacità cranica di 750cc. Dai denti si deduce che mangiava soprattutto tuberi e radici.
▪ Homo habilis: 2,0-1,6Ma. Abile nella fabbricazione di strumenti. Resti associati all’industria olduvaiana.
▪ Homo ergaster: 1,8-1,5Ma. Ergaster = che lavora. Acquisizione della Simmetria Bilaterale. Resti di un adolescente: “Ragazzo del Turkana”. Aveva 6 vertebre lombari come australopitechi. Capacità cranica
800-900cc. Resti simili trovati in Georgia ͢ homo georgicus. Ergaster è forse il primo a migrare fuori dall’Africa.
▪ Homo erectus: 1,5-0,2Ma. Homo ergaster diventa homo erectus, specie esclusiva dell’Asia. Si pensava fosse il primo camminatore in stazione eretta. Fronte sfuggente, torus sopraorbotario sviluppato, capacità cranica tra 900-1225cc.
I mutamenti climatici verificatisi circa 2,5Ma determinarono la comparsa di un ambiente sempre più arido; questi cambiamenti causarono l’estinzione di alcune specie di australopicine e l’evoluzione dei parantropi e del genere Homo. Non si conosce ancora da quale specie si siano evolute le prime forme umane; è stato ipotizzato che il Kenyanthropus platyops potrebbe essere il progenitore per alcuni caratteri in comune con Homo rudolfensis. Nel genere Homo la dieta prevalentemente vegetariana delle australopicine divenne onnivora ed iniziò la fabbricazione di strumenti in pietra. I manufatti litici che producevano non si presentano mai come armi da offesa, ma strumenti utili alla macellazione di carcasse; i vegetale potevano comunque rappresentare un’importante componente della loro dieta.
▪ Homo rudolfensis: 2,4-1,6Ma. Lago Turkana, Kenya. All’inizio sembrava homo habilis. Capacità cranica di 750cc. Dai denti si deduce che mangiava soprattutto tuberi e radici.
▪ Homo habilis: 2,0-1,6Ma. Abile nella fabbricazione di strumenti. Resti associati all’industria olduvaiana.
▪ Homo ergaster: 1,8-1,5Ma. Ergaster = che lavora. Acquisizione della Simmetria Bilaterale. Resti di un adolescente: “Ragazzo del Turkana”. Aveva 6 vertebre lombari come australopitechi. Capacità cranica
800-900cc. Resti simili trovati in Georgia ͢ homo georgicus. Ergaster è forse il primo a migrare fuori dall’Africa.
▪ Homo erectus: 1,5-0,2Ma. Homo ergaster diventa homo erectus, specie esclusiva dell’Asia. Si pensava fosse il primo camminatore in stazione eretta. Fronte sfuggente, torus sopraorbotario sviluppato, capacità cranica tra 900-1225cc.
MIGRAZIONE DALL’AFRICA E IL POPOLAMENTO DELL’EURASIA
Dall’Africa orientale Homo ergaster si è diffuso rapidamente in Asia e forse successivamente in Europa. L’ipotesi più plausibile è che il passaggio da un regime alimentare vegetariano-onnivoro ad una dieta ricca di proteine animali abbia spinto questi antichi uomini ad occupare nuovi territori; un tale tipo di dieta avrebbe potuto provocare un aumento della popolazione ancora non preparata a sfruttare appieno le risorse alimentari dei territori di origine. Le popolazioni di Homo dei tre continenti hanno sviluppato nel tempo caratteristiche proprie, dando origine a specie distinte.
I primi asiatici: dal 1890 nei depositi fossiliferi di Giava furono scoperti numerosi resti umani. Ritenuti i primi ad avere la stazione eretta, la specie fu definita Homo erectus. I reperti di Giava sono datati tra oltre 1,5Ma e 0,25Ma. I principali caratteri di Homo erectus sono: fronte sfuggente, torus sopraorbitario sviluppato, carena sagittale, torus occipitale ed ossa craniche più spesse rispetto ad ergaster, moderato prognatismo, capacità cranica compresa tra 900-1200cc. Questa specie sembra aver avuto una storia evolutiva separata dagli altri ominidi contemporanei.
I primi europei: le prove più antiche della presenza umana in Europa risalgono a circa un milione di anni fa.
I fossili di ominidi più antichi sono quelli di Ceprano in Italia e di Homo antecessor a circa 0,9-0,8Ma e 0,8-0,7Ma. Il popolamento umano dell’Europa pare dunque più recente di quasi un milione di anni di quello asiatico. Condizioni climatiche proibitive o la presenza di carnivori possono aver ritardato la colonizzazione del continente europeo da parte dell’uomo, il quale può essere giunto attraverso il Medio Oriente (Anatolia e/o Georgia).
▪ Homo cepranensis: (160ka), notevole spessore delle ossa craniche, fronte sfuggente, grande toro sopraorbitario, capacità cranica di 1200cc. Forma cranica meno allungata rispetto all’erectus e assenza di carena sagittale. Forse prima forma di umanità avviata a divenire Sapiens.
▪ Homo antecessor: (800ka), caratteri simili a Sapiens, Heidelbergensis, Neanderthal. I denti, invece, sono come l’Ergaster. Si sarebbe evoluto nel Neanderthal in Europa e nel Sapiens in Africa.
▪ Homo heidelbergensis: è il predecessore del Neanderthal. (600ka).
▪ Homo rhodesiensis: è il predecessore dei Sapiens. Trovato in molti siti africani. (600-200ka).
Dall’Africa orientale Homo ergaster si è diffuso rapidamente in Asia e forse successivamente in Europa. L’ipotesi più plausibile è che il passaggio da un regime alimentare vegetariano-onnivoro ad una dieta ricca di proteine animali abbia spinto questi antichi uomini ad occupare nuovi territori; un tale tipo di dieta avrebbe potuto provocare un aumento della popolazione ancora non preparata a sfruttare appieno le risorse alimentari dei territori di origine. Le popolazioni di Homo dei tre continenti hanno sviluppato nel tempo caratteristiche proprie, dando origine a specie distinte.
I primi asiatici: dal 1890 nei depositi fossiliferi di Giava furono scoperti numerosi resti umani. Ritenuti i primi ad avere la stazione eretta, la specie fu definita Homo erectus. I reperti di Giava sono datati tra oltre 1,5Ma e 0,25Ma. I principali caratteri di Homo erectus sono: fronte sfuggente, torus sopraorbitario sviluppato, carena sagittale, torus occipitale ed ossa craniche più spesse rispetto ad ergaster, moderato prognatismo, capacità cranica compresa tra 900-1200cc. Questa specie sembra aver avuto una storia evolutiva separata dagli altri ominidi contemporanei.
I primi europei: le prove più antiche della presenza umana in Europa risalgono a circa un milione di anni fa.
I fossili di ominidi più antichi sono quelli di Ceprano in Italia e di Homo antecessor a circa 0,9-0,8Ma e 0,8-0,7Ma. Il popolamento umano dell’Europa pare dunque più recente di quasi un milione di anni di quello asiatico. Condizioni climatiche proibitive o la presenza di carnivori possono aver ritardato la colonizzazione del continente europeo da parte dell’uomo, il quale può essere giunto attraverso il Medio Oriente (Anatolia e/o Georgia).
▪ Homo cepranensis: (160ka), notevole spessore delle ossa craniche, fronte sfuggente, grande toro sopraorbitario, capacità cranica di 1200cc. Forma cranica meno allungata rispetto all’erectus e assenza di carena sagittale. Forse prima forma di umanità avviata a divenire Sapiens.
▪ Homo antecessor: (800ka), caratteri simili a Sapiens, Heidelbergensis, Neanderthal. I denti, invece, sono come l’Ergaster. Si sarebbe evoluto nel Neanderthal in Europa e nel Sapiens in Africa.
▪ Homo heidelbergensis: è il predecessore del Neanderthal. (600ka).
▪ Homo rhodesiensis: è il predecessore dei Sapiens. Trovato in molti siti africani. (600-200ka).
I NEANDERTALIANI E LA COMPARSA DELL’UOMO ANATOMICAMENTE MODERNO
Considerata fino alla metà del secolo scorso una sottospecie di Homo sapiens e quindi definita Homo sapiens neanderhalensis, si deve allo studio dell’antico DNA mitocondriale la sicura identificazione di una specie a sé stante, Homo neanderthalensis, dimostrando che le due specie non si sono fuse anche se hanno convissuto per un certo tempo. La durata della sua esistenza è stata estesa tra circa 250 e 27/28ka.
Come Neandertaliani “antesignani” si considerano i reperti di Swascombe, Stenheim e Atapuerca, con caratteri preludenti ai Neandertaliani “precoci” databili 250-130ka: sono rappresentati dai resti rinvenuti in Croazia e a Roma in cui si va definendo la fenotipia dei Neandertaliani “classici”. È stato ipotizzato un movimento migratorio di gruppi di Neandertaliani “precoci” dall’Europa verso il Vicino Oriente.
L’Homo neanderthalensis di tipo “classico” si distingue per il cranio allungato con volta bassa, fronte sfuggente, toro sopraorbitario continuo, prognatismo sottonasale accentuato, assenza di mento, cavità nasale grande; lo scheletro postcraniale non è molto diverso da quello del sapiens ed analoga è la capacità cranica, la cui media è circa 1450 cc.
Homo sapiens è l’uomo anatomicamente moderno.
Due sono le teorie principali per spiegare l’origine e la poliformia fenotipica della nostra specie: quella della evoluzione multi regionale e quella dell’origine africana. Secondo quest’ultima Homo sapiens sarebbe comparso precocemente (tra 160-130ka) in una regione circoscritta, forse l’Africa sub-sahariana, da dove si sarebbe diffuso nel resto del globo sostituendo le altre specie. La morfologia dell’uomo di tipo moderno è caratterizzata da: cranio a volta alta e piuttosto breve, osso frontale e verticale, occipitale con contorno abbastanza arrotondato e privo do toro trasversale evidente, capacità cranica tra 1100-2000cc, faccia ortognata, mento pronunciato, scheletro postcraniale meno robusto rispetto alle forme umane precedenti.
Considerata fino alla metà del secolo scorso una sottospecie di Homo sapiens e quindi definita Homo sapiens neanderhalensis, si deve allo studio dell’antico DNA mitocondriale la sicura identificazione di una specie a sé stante, Homo neanderthalensis, dimostrando che le due specie non si sono fuse anche se hanno convissuto per un certo tempo. La durata della sua esistenza è stata estesa tra circa 250 e 27/28ka.
Come Neandertaliani “antesignani” si considerano i reperti di Swascombe, Stenheim e Atapuerca, con caratteri preludenti ai Neandertaliani “precoci” databili 250-130ka: sono rappresentati dai resti rinvenuti in Croazia e a Roma in cui si va definendo la fenotipia dei Neandertaliani “classici”. È stato ipotizzato un movimento migratorio di gruppi di Neandertaliani “precoci” dall’Europa verso il Vicino Oriente.
L’Homo neanderthalensis di tipo “classico” si distingue per il cranio allungato con volta bassa, fronte sfuggente, toro sopraorbitario continuo, prognatismo sottonasale accentuato, assenza di mento, cavità nasale grande; lo scheletro postcraniale non è molto diverso da quello del sapiens ed analoga è la capacità cranica, la cui media è circa 1450 cc.
Homo sapiens è l’uomo anatomicamente moderno.
Due sono le teorie principali per spiegare l’origine e la poliformia fenotipica della nostra specie: quella della evoluzione multi regionale e quella dell’origine africana. Secondo quest’ultima Homo sapiens sarebbe comparso precocemente (tra 160-130ka) in una regione circoscritta, forse l’Africa sub-sahariana, da dove si sarebbe diffuso nel resto del globo sostituendo le altre specie. La morfologia dell’uomo di tipo moderno è caratterizzata da: cranio a volta alta e piuttosto breve, osso frontale e verticale, occipitale con contorno abbastanza arrotondato e privo do toro trasversale evidente, capacità cranica tra 1100-2000cc, faccia ortognata, mento pronunciato, scheletro postcraniale meno robusto rispetto alle forme umane precedenti.
LE PRIME FASI DEL PALEOLITICO IN
AFRICA
L’OLDUVAIANO
Le più antiche industrie litiche rinvenute in Europa risalgono a 2,6Ma e sono dunque riconducibili ad uno stadio iniziale della fase arcaica del Paleolitico, comunemente denominata Olduvaiano dal sito nella gola di Olduvai lungo la Rift Valley in Tanzania.
Le industrie olduvaiane sono comparse all’interno dello strato più basso (1,85-1,7Ma) corrispondente ad un bacino lacustre ai cui margini risultano vissuti Palanthropus boisei e Homo habilis, al quale sono attribuiti i manufatti. Le industrie olduvaiane comprendono choppers, chopping-tools, poliedri, proto-bifacciali e schegge usate senza un’ulteriore lavorazione o modificate con il ritocco. È venuta alla luce una struttura circolare di pietre di oltre 4metri di diametro con la probabile funzione di pavimentazione drenante.
Non sono risultate individuabili aree con funzioni differenziate. La sussistenza era basata, oltre che sulla raccolta e caccia di piccoli animali, sullo sfruttamento di carcasse di grandi mammiferi morti per cause naturali. Agli spostamenti delle faune erano connessi quelli dei gruppi umani, i cui insediamenti dovevano dunque essere temporanei. Quest’ultimi sono generalmente localizzati sulle rive dei laghi o corsi d’acqua.
Nei siti olduvaiani è, dunque, attestato un modello socio-economico già tipicamente umano che comporta la capacità di produrre manufatti per determinate funzioni, di interagire con l’ambiente trovando strategie di adattamento e di trasmettere le nuove acquisizioni.
Le più antiche industrie litiche rinvenute in Europa risalgono a 2,6Ma e sono dunque riconducibili ad uno stadio iniziale della fase arcaica del Paleolitico, comunemente denominata Olduvaiano dal sito nella gola di Olduvai lungo la Rift Valley in Tanzania.
Le industrie olduvaiane sono comparse all’interno dello strato più basso (1,85-1,7Ma) corrispondente ad un bacino lacustre ai cui margini risultano vissuti Palanthropus boisei e Homo habilis, al quale sono attribuiti i manufatti. Le industrie olduvaiane comprendono choppers, chopping-tools, poliedri, proto-bifacciali e schegge usate senza un’ulteriore lavorazione o modificate con il ritocco. È venuta alla luce una struttura circolare di pietre di oltre 4metri di diametro con la probabile funzione di pavimentazione drenante.
Non sono risultate individuabili aree con funzioni differenziate. La sussistenza era basata, oltre che sulla raccolta e caccia di piccoli animali, sullo sfruttamento di carcasse di grandi mammiferi morti per cause naturali. Agli spostamenti delle faune erano connessi quelli dei gruppi umani, i cui insediamenti dovevano dunque essere temporanei. Quest’ultimi sono generalmente localizzati sulle rive dei laghi o corsi d’acqua.
Nei siti olduvaiani è, dunque, attestato un modello socio-economico già tipicamente umano che comporta la capacità di produrre manufatti per determinate funzioni, di interagire con l’ambiente trovando strategie di adattamento e di trasmettere le nuove acquisizioni.
L’ACHEULEANO
All’Olduvaiano segue lo sviluppo dell’Acheuleano, riuniti nell’età denominata in Africa Early Stone Age.
Si contraddistingue la comparsa dei bifacciali, la cui forma attesta l’acquisizione della simmetria bilaterale; ad essi sono associati hachereaux e strumenti si scheggia, quali raschiatoi, punte, denticolati.
L’inizio dell’Acheuleano è ad oggi collocato intorno a 1,7-1,5Ma; il suo sviluppo si verifica in un graduale processo evolutivo esteso fino a 0,2Ma. Intorno a 0,5-0,4Ma c’è una fase recente in cui diminuisce la quantità di bifacciali, aumentano gli strumenti su scheggia e si diffonde la tecnica di Levallois.
La presenza tra i resti faunistici di animali di grande taglia pare indicare il passaggio ad attività di caccia in gruppo e pratiche di caccia selettive. Negli insediamenti l’organizzazione dello spazio abitato è attestata da aree destinate a determinate attività. Il responsabile dei progressi tecnologici caratterizzati dalla comparsa dei bifacciali acheuleani è ritenuto Homo ergaster, al quale è attribuita anche la più importante diffusione fuori dall’Africa. Nella sua lunghissima durata (oltre un milione di anni) e vastissima estensione (Africa-Asia-Europa) l’Acheuleano comprende tradizioni culturali diversificate accomunate soltanto dai bifacciali in industrie differenziate sotto l’aspetto sia tecnologico sia tipologico, nell’ambito di un progressivo notevole avanzamento del progresso umano in cui merita particolare rilievo l’acquisizione intorno a 0,5-0,5Ma del controllo del fuoco, documentata da strutture di combustione negli spazi abitati.
All’Olduvaiano segue lo sviluppo dell’Acheuleano, riuniti nell’età denominata in Africa Early Stone Age.
Si contraddistingue la comparsa dei bifacciali, la cui forma attesta l’acquisizione della simmetria bilaterale; ad essi sono associati hachereaux e strumenti si scheggia, quali raschiatoi, punte, denticolati.
L’inizio dell’Acheuleano è ad oggi collocato intorno a 1,7-1,5Ma; il suo sviluppo si verifica in un graduale processo evolutivo esteso fino a 0,2Ma. Intorno a 0,5-0,4Ma c’è una fase recente in cui diminuisce la quantità di bifacciali, aumentano gli strumenti su scheggia e si diffonde la tecnica di Levallois.
La presenza tra i resti faunistici di animali di grande taglia pare indicare il passaggio ad attività di caccia in gruppo e pratiche di caccia selettive. Negli insediamenti l’organizzazione dello spazio abitato è attestata da aree destinate a determinate attività. Il responsabile dei progressi tecnologici caratterizzati dalla comparsa dei bifacciali acheuleani è ritenuto Homo ergaster, al quale è attribuita anche la più importante diffusione fuori dall’Africa. Nella sua lunghissima durata (oltre un milione di anni) e vastissima estensione (Africa-Asia-Europa) l’Acheuleano comprende tradizioni culturali diversificate accomunate soltanto dai bifacciali in industrie differenziate sotto l’aspetto sia tecnologico sia tipologico, nell’ambito di un progressivo notevole avanzamento del progresso umano in cui merita particolare rilievo l’acquisizione intorno a 0,5-0,5Ma del controllo del fuoco, documentata da strutture di combustione negli spazi abitati.
LE PRIME MIGRAZIONI “OUT OF AFRICA”
Attualmente si ritiene che le più antiche evidenze dell’Eurasia siano da ricondurre a diverse ondate migratorie avvenute tra 1,8-1,0Ma. Secondo Kozlowski, una delle prime migrazioni aveva probabilmente seguito un percorso dall’Etiopia attraverso il sud della penisola araba verso l’India fino alla Cina a nord (1,7Ma) e all’Indonesia a sud. Un percorso verso il Medio Oriente e il Transcaucaso sarebbe attestato dal sito di Dmanisi in Georgia, datato 1,8Ma.
I più antichi siti europei sono addensati nell’area sud-occidentale. Kozlowski imputa ciò a una via di transito dall’Africa attraverso lo stretto di Gibilterra o un istmo siculo-tunisino, ma le evidenze geologiche sembrano propendere per un percorso dal Vicino e Medio Oriente.
Le prime industrie europee, costituite da ciottoli scheggiati e strumenti su scheggia, sono rappresentate in numerosi siti dell’area sud-occidentale: la Grotta di Vallonet, Lavaud e Montièrs in Francia (1,3-0,8Ma), la Gran Dolina in Spagna (0,78Ma), Monte Poggiolo presso Forlì (1,0Ma).
Verosimilmente il clima rigido del Pleistocene Inferiore può aver costituito un ostacolo alle migrazioni nel territorio europeo, ritardandone l’occupazione. In alcuni di questi più antichi siti sono stati rilevati suoli di abitato ben delimitati.
Considerando che in Eurasia le prime industrie a bifacciali presentano analogie con quelle africane e mancano industrie di transizione tra le tradizioni dei ciottoli scheggiati e dei bifacciali, la comparsa di quest’ultimi in Europa e Asia è ricondotta da Kozlowski ad un ulteriore migrazione dall’Africa.
La diffusione verso est, verificatasi tra 0,8-0,7Ma., seguirebbe due direzioni: verso il Medio Oriente e verso l’Asia meridionale, soprattutto l’India. I gruppi acheuleani sembrano non aver superato le catene montuose del Caucaso e del Tauro, come pure quelle dell’Asia centrale; questa frontiera è nota come “linea di Movius”. Negli ultimi anni, però, ad est di tale linea sono stati scoperti bifacciali tra cui quello di Bose in Cina (0,8Ma.); la diffusione delle tecnologie bifacciali verso est è, dunque, più antica di quella verso l’Europa occidentale. Secondo Kozlowski sarebbe avvenuta una seconda migrazione dall’Africa verso il sud-ovest europeo, sicuramente attraverso lo stretto di Gibilterra. Le industrie acheuleane compaiono in Europa verso 0,5Ma e perdurano fino a circa 0,1Ma; sono diffuse solo nell’area occidentale (Spagna, Italia, Francia, Inghilterra). La valle del Reno e le Alpi costituiscono una frontiera analoga a quella di Movius.
Nella loro lunga durata sono stati distinti due stadi:
▪ Acheuleano antico: con abbondanza di bifacciali talora associati a hacereaux e a ciottoli scheggiati.
▪ Acheuleano recente: con bifacciali di più accurata lavorazione e di più ridotte dimensioni associati a strumenti su scheggia ottenuti con la tecnica di Levallois.
Nell’Acheuleano recente merita rilievo il sito di Castel di Guido nel Lazio per la presenza di bifacciali ricavati da ossa di elefante.
Parallelamente all’Acheuleano si sviluppano industrie su scheggia prive di bifacciali diffuse soprattutto nell’area occidentale e in quella mediterranea; sono state riferite a due diversi aspetti accomunati da una lavorazione assai sommaria determinante ritocchi prevalentemente denticolati: il Clactoniano caratterizzato da strumenti su grandi e spesse schegge, e il Tayaziano con manufatti di dimensioni ridotte.
In Europa nel corso del Paleolitico Inferiore si sviluppa la pratica di caccia collettiva indicativa di un’organizzazione sociale progressivamente più avanzata. Un possibile uso di manufatti in legno o in osso come armi da caccia è ipotizzabile sulla base degli eccezionali rinvenimenti di lance in legno a Clacton-on-Sea e a Schoningen in Germania (0,4Ma).
Il controllo del fuoco è ben documentato da strutture di combustione, i cosiddetti focolari. Gli abitati sono talora do notevole estensione e in alcuni casi sono conservate strutture pavimentali tra cui la più imponente è quella di Isernia La Pineta (drenante). A Nizza, nella Grotta di Lazaret, è stata definita una capanna; all’interno sono comparse tracce di due focolari, attorno ai quali sono stati interpretati numerosi resti di molluschi che avrebbero popolato erbe marine usate come giacigli.
Attualmente si ritiene che le più antiche evidenze dell’Eurasia siano da ricondurre a diverse ondate migratorie avvenute tra 1,8-1,0Ma. Secondo Kozlowski, una delle prime migrazioni aveva probabilmente seguito un percorso dall’Etiopia attraverso il sud della penisola araba verso l’India fino alla Cina a nord (1,7Ma) e all’Indonesia a sud. Un percorso verso il Medio Oriente e il Transcaucaso sarebbe attestato dal sito di Dmanisi in Georgia, datato 1,8Ma.
I più antichi siti europei sono addensati nell’area sud-occidentale. Kozlowski imputa ciò a una via di transito dall’Africa attraverso lo stretto di Gibilterra o un istmo siculo-tunisino, ma le evidenze geologiche sembrano propendere per un percorso dal Vicino e Medio Oriente.
Le prime industrie europee, costituite da ciottoli scheggiati e strumenti su scheggia, sono rappresentate in numerosi siti dell’area sud-occidentale: la Grotta di Vallonet, Lavaud e Montièrs in Francia (1,3-0,8Ma), la Gran Dolina in Spagna (0,78Ma), Monte Poggiolo presso Forlì (1,0Ma).
Verosimilmente il clima rigido del Pleistocene Inferiore può aver costituito un ostacolo alle migrazioni nel territorio europeo, ritardandone l’occupazione. In alcuni di questi più antichi siti sono stati rilevati suoli di abitato ben delimitati.
Considerando che in Eurasia le prime industrie a bifacciali presentano analogie con quelle africane e mancano industrie di transizione tra le tradizioni dei ciottoli scheggiati e dei bifacciali, la comparsa di quest’ultimi in Europa e Asia è ricondotta da Kozlowski ad un ulteriore migrazione dall’Africa.
La diffusione verso est, verificatasi tra 0,8-0,7Ma., seguirebbe due direzioni: verso il Medio Oriente e verso l’Asia meridionale, soprattutto l’India. I gruppi acheuleani sembrano non aver superato le catene montuose del Caucaso e del Tauro, come pure quelle dell’Asia centrale; questa frontiera è nota come “linea di Movius”. Negli ultimi anni, però, ad est di tale linea sono stati scoperti bifacciali tra cui quello di Bose in Cina (0,8Ma.); la diffusione delle tecnologie bifacciali verso est è, dunque, più antica di quella verso l’Europa occidentale. Secondo Kozlowski sarebbe avvenuta una seconda migrazione dall’Africa verso il sud-ovest europeo, sicuramente attraverso lo stretto di Gibilterra. Le industrie acheuleane compaiono in Europa verso 0,5Ma e perdurano fino a circa 0,1Ma; sono diffuse solo nell’area occidentale (Spagna, Italia, Francia, Inghilterra). La valle del Reno e le Alpi costituiscono una frontiera analoga a quella di Movius.
Nella loro lunga durata sono stati distinti due stadi:
▪ Acheuleano antico: con abbondanza di bifacciali talora associati a hacereaux e a ciottoli scheggiati.
▪ Acheuleano recente: con bifacciali di più accurata lavorazione e di più ridotte dimensioni associati a strumenti su scheggia ottenuti con la tecnica di Levallois.
Nell’Acheuleano recente merita rilievo il sito di Castel di Guido nel Lazio per la presenza di bifacciali ricavati da ossa di elefante.
Parallelamente all’Acheuleano si sviluppano industrie su scheggia prive di bifacciali diffuse soprattutto nell’area occidentale e in quella mediterranea; sono state riferite a due diversi aspetti accomunati da una lavorazione assai sommaria determinante ritocchi prevalentemente denticolati: il Clactoniano caratterizzato da strumenti su grandi e spesse schegge, e il Tayaziano con manufatti di dimensioni ridotte.
In Europa nel corso del Paleolitico Inferiore si sviluppa la pratica di caccia collettiva indicativa di un’organizzazione sociale progressivamente più avanzata. Un possibile uso di manufatti in legno o in osso come armi da caccia è ipotizzabile sulla base degli eccezionali rinvenimenti di lance in legno a Clacton-on-Sea e a Schoningen in Germania (0,4Ma).
Il controllo del fuoco è ben documentato da strutture di combustione, i cosiddetti focolari. Gli abitati sono talora do notevole estensione e in alcuni casi sono conservate strutture pavimentali tra cui la più imponente è quella di Isernia La Pineta (drenante). A Nizza, nella Grotta di Lazaret, è stata definita una capanna; all’interno sono comparse tracce di due focolari, attorno ai quali sono stati interpretati numerosi resti di molluschi che avrebbero popolato erbe marine usate come giacigli.
IL PALEOLITICO MEDIO
PROBLEMATICHE APERTE
Rimangono ancora non risolte alcune problematiche tra cui, in primo luogo, la durata dell’esistenza dei Neandertaliani e del periodo ad essa convenzionalmente corrispondente, il Paleolitico Medio.
▪ In merito all’arco cronologico in cui sono vissuti i Neandertaliani sono state riportate le motivazioni addotte da Mallegni per una sua estensione tra circa 250 e 28/27ka BP. Più antiche sono le date del primo grande complesso del Paleolitico Superiore, l’Aurignaziano (38-36ka BP), comprovanti una contemporaneità in Europa tra i Neandertaliani e i Sapiens.
▪ Anche se i Neandertaliani sono i principali artefici delle industrie musteriane, non si può parlare di un’associazione esclusiva: ad essi, verso la fine della loro vicenda, risultano infatti riferibili altri complessi industriali, quale il Castelperroniano ed in alcuni siti industrie musteriane appaiono realizzate da Homo sapiens. In una zona ristretta di Israele, compaiono industrie analoghe associate a resti anatomicamente moderni nei contesti di Skhül e Qafzeh, a resti neandertaliani in quelli di Tabun, Kebara e Amud. Skhül e Qafzeh sono datate 120-80ka BP, mentre Kebara e Amud sono più recenti, aggirandosi intorno a 60ka BP.
▪ In linea generale, si può far risalire la presenza delle prime industrie con caratteri musterani a circa 300-250ka, quando compaiono nuove tecniche di predeterminazione dei manufatti.
▪ Le datazioni antiche sopra indicate per le sepolture potrebbe porre il problema se la prima specie umana a seppellire i defunti sia stata realmente quella neandertaliana.
Rimangono ancora non risolte alcune problematiche tra cui, in primo luogo, la durata dell’esistenza dei Neandertaliani e del periodo ad essa convenzionalmente corrispondente, il Paleolitico Medio.
▪ In merito all’arco cronologico in cui sono vissuti i Neandertaliani sono state riportate le motivazioni addotte da Mallegni per una sua estensione tra circa 250 e 28/27ka BP. Più antiche sono le date del primo grande complesso del Paleolitico Superiore, l’Aurignaziano (38-36ka BP), comprovanti una contemporaneità in Europa tra i Neandertaliani e i Sapiens.
▪ Anche se i Neandertaliani sono i principali artefici delle industrie musteriane, non si può parlare di un’associazione esclusiva: ad essi, verso la fine della loro vicenda, risultano infatti riferibili altri complessi industriali, quale il Castelperroniano ed in alcuni siti industrie musteriane appaiono realizzate da Homo sapiens. In una zona ristretta di Israele, compaiono industrie analoghe associate a resti anatomicamente moderni nei contesti di Skhül e Qafzeh, a resti neandertaliani in quelli di Tabun, Kebara e Amud. Skhül e Qafzeh sono datate 120-80ka BP, mentre Kebara e Amud sono più recenti, aggirandosi intorno a 60ka BP.
▪ In linea generale, si può far risalire la presenza delle prime industrie con caratteri musterani a circa 300-250ka, quando compaiono nuove tecniche di predeterminazione dei manufatti.
▪ Le datazioni antiche sopra indicate per le sepolture potrebbe porre il problema se la prima specie umana a seppellire i defunti sia stata realmente quella neandertaliana.
I COMPLESSI MUSTERIANI
I Neandertaliani risultano ad oggi i principali artefici dell’insieme di industrie denominato Musteriano dal Riparo di Le Moustier in Dordogna. Le industrie musteriane evolvono direttamente da quelle del Paleolitico Inferiore in cui ai bifacciali si associano abbondanti strumenti su scheggia e appare già introdotta l’innovazione della predeterminazione dei prodotti della scheggiatura. Rispetto alle precedenti, presentano caratteri innovativi nel perfezionamento della lavorazione, in alcune aree, dei bifacciali, ma soprattutto in una più complessa progettualità tecnologica. Tra gli strumenti, i più ricorrenti sono le punte, i raschiatoi e i denticolati. Bordes identificò quattro principali complessi; in ciascuno di essi distinse industrie di “tecnica Levallois” e di “tecnica non Levallois” in base al valore del relativo indice:
▪ Musteriano di tradizione acheuleana, caratterizzato dalla presenza significativa di bifacciali cordiformi e, nella fase recente, anche di coltelli a dorso.
▪ Musteriano tipico, caratterizzato dalla frequenza di punte e raschiatoi piatti.
▪ Charentiano, articolato in due complessi:
▫ Quina, di tecnica non Levallois, con punte carenoidali doppie denominate limaces, raschiatoi spessi con
ritocco scalariforme e raschiatoi a ritocco bifacciale.
▫ Ferrassie, di tecnica Levallois, con raschiatoi piatti dominanti sulle punte.
▪ Musteriano denticolato, caratterizzato da una forte incidenza di incavi e strumenti denticolati.
Tali definizioni sono ancora usate da alcuni autori, ma a questa sequenza di complessi non deve essere attribuita alcuna valenza cronologica. In Italia, in una fase iniziale del Paleolitico Medio, Arturo Palma distingue due “province” principali:
– un’area centro-settentrionale, contraddistinta dalla precoce comparsa e dallo sviluppo talora accentuato delle tecnologie di predeterminazione dei manufatti
– un’area centro-meridionale in cui compaiono industrie charentiane di tipo Quina che perdurano a lungo sulle coste laziali, dove, in un peculiare aspetto detto “Pontiniano”, sono caratterizzate da schegge a forma di calotta o spicchio ricavati da piccoli ciottoli di selce. Merita rilievo la presenza, in siti costieri di Puglia e Lazio, di raschiatoi ricavate da valve di Callista chione (pietra molto dura).
In merito al significato delle diversità dei complessi musteriani, Bordes riteneva che si trattasse di tradizioni culturali distinte corrispondenti a differenti gruppi etnici che sarebbero coesistiti in aree ristrette senza reciproche interferenze. Da Lewis e Sally Binford (1966) venne proposta una diversa interpretazione fondata su osservazioni di carattere funzionale, riconducendo i complessi – come definiti da Bordes – ad attività economicamente diversificate anche all’interno del sito. Sono state sollevate, però, diverse obiezioni: la principale riguarda l’attribuzione ai manufatti di funzioni desunte dai nomi dati su base tipologica, non supportate dall’analisi delle tracce d’uso; una seconda è attinente alla distribuzione geografica dei complessi: se applicassimo tale modello fuori dalla Dordogna, alcune attività in altre regioni non sarebbero mai state svolte. Questa impostazione ha comunque contribuito a rivedere i tradizionali, consolidati, criteri metodologici.
I Neandertaliani risultano ad oggi i principali artefici dell’insieme di industrie denominato Musteriano dal Riparo di Le Moustier in Dordogna. Le industrie musteriane evolvono direttamente da quelle del Paleolitico Inferiore in cui ai bifacciali si associano abbondanti strumenti su scheggia e appare già introdotta l’innovazione della predeterminazione dei prodotti della scheggiatura. Rispetto alle precedenti, presentano caratteri innovativi nel perfezionamento della lavorazione, in alcune aree, dei bifacciali, ma soprattutto in una più complessa progettualità tecnologica. Tra gli strumenti, i più ricorrenti sono le punte, i raschiatoi e i denticolati. Bordes identificò quattro principali complessi; in ciascuno di essi distinse industrie di “tecnica Levallois” e di “tecnica non Levallois” in base al valore del relativo indice:
▪ Musteriano di tradizione acheuleana, caratterizzato dalla presenza significativa di bifacciali cordiformi e, nella fase recente, anche di coltelli a dorso.
▪ Musteriano tipico, caratterizzato dalla frequenza di punte e raschiatoi piatti.
▪ Charentiano, articolato in due complessi:
▫ Quina, di tecnica non Levallois, con punte carenoidali doppie denominate limaces, raschiatoi spessi con
ritocco scalariforme e raschiatoi a ritocco bifacciale.
▫ Ferrassie, di tecnica Levallois, con raschiatoi piatti dominanti sulle punte.
▪ Musteriano denticolato, caratterizzato da una forte incidenza di incavi e strumenti denticolati.
Tali definizioni sono ancora usate da alcuni autori, ma a questa sequenza di complessi non deve essere attribuita alcuna valenza cronologica. In Italia, in una fase iniziale del Paleolitico Medio, Arturo Palma distingue due “province” principali:
– un’area centro-settentrionale, contraddistinta dalla precoce comparsa e dallo sviluppo talora accentuato delle tecnologie di predeterminazione dei manufatti
– un’area centro-meridionale in cui compaiono industrie charentiane di tipo Quina che perdurano a lungo sulle coste laziali, dove, in un peculiare aspetto detto “Pontiniano”, sono caratterizzate da schegge a forma di calotta o spicchio ricavati da piccoli ciottoli di selce. Merita rilievo la presenza, in siti costieri di Puglia e Lazio, di raschiatoi ricavate da valve di Callista chione (pietra molto dura).
In merito al significato delle diversità dei complessi musteriani, Bordes riteneva che si trattasse di tradizioni culturali distinte corrispondenti a differenti gruppi etnici che sarebbero coesistiti in aree ristrette senza reciproche interferenze. Da Lewis e Sally Binford (1966) venne proposta una diversa interpretazione fondata su osservazioni di carattere funzionale, riconducendo i complessi – come definiti da Bordes – ad attività economicamente diversificate anche all’interno del sito. Sono state sollevate, però, diverse obiezioni: la principale riguarda l’attribuzione ai manufatti di funzioni desunte dai nomi dati su base tipologica, non supportate dall’analisi delle tracce d’uso; una seconda è attinente alla distribuzione geografica dei complessi: se applicassimo tale modello fuori dalla Dordogna, alcune attività in altre regioni non sarebbero mai state svolte. Questa impostazione ha comunque contribuito a rivedere i tradizionali, consolidati, criteri metodologici.
CLIMA E AMBIENTE, ECONOMIA E INSEDIAMENTI
Il Paleolitico Medio, 250-28/27ka BP (sigla per datazioni C14), corrisponde agli stadi isotopici 8 finale – 2 iniziale (OIS8-OIS2). Questo periodo è dominato da fenomeni glaciali in cui si verificano progressive estensioni dei paesaggi a tundra e steppa ed ondate migratorie di specie animali artiche che arrivano all’Europa centrale fino a Francia meridionale e Val Padana. Alle fasi fredde si alternano periodi a clima temperato: è proprio in uno di questi, nell’interglaciale Riss-Würm datato circa 130-80ka BP, che tradizionalmente venivano collocati i primi Neandertaliani; attualmente questa fase è identificata come OIS5, con clima più caldo rispetto a quello odierno. Ad una fase climatica particolarmente rigorosa,
I Pleniglaciale (OIS4), fa seguito l’Interpleniglaciale a clima di nuovo complessivamente temperato, corrispondente a OIS3 (60-24ka BP), al termine del quale i Neandertaliani si estinguono. I Neandertaliani avevano particolari capacità di adattamento all’ambiente, anche in condizioni climatiche avverse.
La grande quantità di resti faunistici rinvenuta nei depositi dei siti occupati attesta l’importanza della caccia per i Neanderthal, comprovata da un’alimentazione a base di carne talmente dominante da avvicinare quella dei leoni; le associazioni faunistiche riflettono la composizione biologica del territorio prossimo ai siti: risultano, quindi, più varie durante le fasi temperate, più ridotte nei periodi di maggiore rigidità climatica in conseguenza di una selezione naturale, che causa una tendenza alla caccia specializzata.
Amilcare Bietti, considerando “esotiche” le materie prime reperite ad oltre 50km dagli insediamenti, ne mette in risalto l’assenza pressoché totale nei siti musteriani italiani in contrasto con quanto si verifica nel Paleolitico Superiore nelle stesse zone, dove già nell’Aurignaziano la selce esotica è presente spesso anche in percentuali rilevanti. S’è avanzata l’ipotesi che una così vistosa differenza di comportamenti possa essere imputata a caratteristiche “culturali” dei Neandertaliani sostanzialmente diversi da quelli da quelli tipici dell’uomo anatomicamente moderno.
In merito alle aree abitative, in alcune regioni con una maggior concentrazione di siti è prevedibile un'organizzazione nella gestione del territorio con un insediamento residenziale e campi secondari in cui i Neandertaliani si spostavano stagionalmente. Ricorrente risulta, nelle grotte, un'alternanza di frequentazioni umane, attestate da pochi strumenti e avanzi di pasto, e di occupazioni più prolungate da parte di grandi carnivori. L'utilizzo generalizzato del fuoco è attestato dai frequenti rinvenimenti di accumuli di carbone e cenere e di vere e proprie aree di combustione. Nella Grotta di Fumane è stata evidenziata una stretta correlazione tra le strutture di combustione e resti faunistici ed è stato possibile identificare una modalità deposizionale consistente in eventi ripetitivi e sequenziali indicativa di attività di tipo alimentare e, quindi, alquanto significativa per un'interpretazione funzionale del suolo abitato. Una significativa testimonianza della capacità di adattamento alle particolari condizioni ambientali delle grandi pianure è costituita dall'uso di ossa e zanne di mammut per la costruzione di strutture in zone carenti di legname a causa della mancanza di copertura arborea, conseguenza del clima molto rigido; ne sono prova le grandi strutture di forma ovale, associate a numerosi focolari, di Molodova in Ucraina, interpretate come capanne.
Il Paleolitico Medio, 250-28/27ka BP (sigla per datazioni C14), corrisponde agli stadi isotopici 8 finale – 2 iniziale (OIS8-OIS2). Questo periodo è dominato da fenomeni glaciali in cui si verificano progressive estensioni dei paesaggi a tundra e steppa ed ondate migratorie di specie animali artiche che arrivano all’Europa centrale fino a Francia meridionale e Val Padana. Alle fasi fredde si alternano periodi a clima temperato: è proprio in uno di questi, nell’interglaciale Riss-Würm datato circa 130-80ka BP, che tradizionalmente venivano collocati i primi Neandertaliani; attualmente questa fase è identificata come OIS5, con clima più caldo rispetto a quello odierno. Ad una fase climatica particolarmente rigorosa,
I Pleniglaciale (OIS4), fa seguito l’Interpleniglaciale a clima di nuovo complessivamente temperato, corrispondente a OIS3 (60-24ka BP), al termine del quale i Neandertaliani si estinguono. I Neandertaliani avevano particolari capacità di adattamento all’ambiente, anche in condizioni climatiche avverse.
La grande quantità di resti faunistici rinvenuta nei depositi dei siti occupati attesta l’importanza della caccia per i Neanderthal, comprovata da un’alimentazione a base di carne talmente dominante da avvicinare quella dei leoni; le associazioni faunistiche riflettono la composizione biologica del territorio prossimo ai siti: risultano, quindi, più varie durante le fasi temperate, più ridotte nei periodi di maggiore rigidità climatica in conseguenza di una selezione naturale, che causa una tendenza alla caccia specializzata.
Amilcare Bietti, considerando “esotiche” le materie prime reperite ad oltre 50km dagli insediamenti, ne mette in risalto l’assenza pressoché totale nei siti musteriani italiani in contrasto con quanto si verifica nel Paleolitico Superiore nelle stesse zone, dove già nell’Aurignaziano la selce esotica è presente spesso anche in percentuali rilevanti. S’è avanzata l’ipotesi che una così vistosa differenza di comportamenti possa essere imputata a caratteristiche “culturali” dei Neandertaliani sostanzialmente diversi da quelli da quelli tipici dell’uomo anatomicamente moderno.
In merito alle aree abitative, in alcune regioni con una maggior concentrazione di siti è prevedibile un'organizzazione nella gestione del territorio con un insediamento residenziale e campi secondari in cui i Neandertaliani si spostavano stagionalmente. Ricorrente risulta, nelle grotte, un'alternanza di frequentazioni umane, attestate da pochi strumenti e avanzi di pasto, e di occupazioni più prolungate da parte di grandi carnivori. L'utilizzo generalizzato del fuoco è attestato dai frequenti rinvenimenti di accumuli di carbone e cenere e di vere e proprie aree di combustione. Nella Grotta di Fumane è stata evidenziata una stretta correlazione tra le strutture di combustione e resti faunistici ed è stato possibile identificare una modalità deposizionale consistente in eventi ripetitivi e sequenziali indicativa di attività di tipo alimentare e, quindi, alquanto significativa per un'interpretazione funzionale del suolo abitato. Una significativa testimonianza della capacità di adattamento alle particolari condizioni ambientali delle grandi pianure è costituita dall'uso di ossa e zanne di mammut per la costruzione di strutture in zone carenti di legname a causa della mancanza di copertura arborea, conseguenza del clima molto rigido; ne sono prova le grandi strutture di forma ovale, associate a numerosi focolari, di Molodova in Ucraina, interpretate come capanne.
SEPOLTURE E MANIFESTAZIONI SIMBOLICHE
Abbastanza numerose sono le sepolture venute in luce in Francia e nel Vicino e Medio Oriente. La prima scoperta venne effettuata nel 1908 in una grotta a La Chapelle-aux-Saaints, dove uno scheletro in posizione flessa fu rinvenuto in una fossa scavata per 30cm nel fondo roccioso della grotta; frammenti di osso di grandi mammiferi al di sopra della testa furono interpretati come offerte, ma non è sicuro.
Nel Riparo di Le Moustier, dopo la scoperta della sepoltura di un adolescente, nel 1914 vennero in luce due fosse: la più piccola conteneva i resti di un bambino; quella più grande, priva di resti scheletrici, era ricoperta da tre lastre di pietra. Nel corso degli scavi condotti a La Ferrassie una notevole quantità di sepolture comparve alla base del deposito del Paleolitico Medio.
Furono inizialmente rinvenuti 2adulti in 2fosse contigue: un maschio di 45anni e una donna di 30, entrambi cogli arti flessi. Vicino a queste sepolture, ne vennero trovate altre con resti di bambini e feti. Non si può stabilire se questa concentrazione sia casuale o se corrisponda a un’area riservata alle sepolture. Merita rilievo la deposizione di un bombo di 3anni col cranio separato dal corpo in una fossa ricoperta da una lastra di pietra con coppie di cuppelle sulla faccia inferiore.
Nella Grotta di Kebara (Israele) vennero trovati i resti e lo scheletro, privo del calvario, di un maschio adulto deposto in posizione supina. È probabile che l’asportazione del calvario sia riconducibile all’intervento umano (culto dei crani?).
In Iraq nella Grotta di Shanidar è sepolto un maschio 35enne. Le analisi hanno evidenziato una forte concentrazione di pollini di varie piante, che ha portato a pensare a una deposizione volontaria di fiori; più probabilmente, però, i pollini sono stati trasportati dal vento.
In Uzbekistan, il corpo di un bimbo di 9anni era circondato da corna di capra siberiana, messe di proposito. Il tipico esempio pratica di cannibalismo rituale era considerato il rinvenimento nella Grotta Guattari a San Felice Circeo: un calvario neandertaliano con il forame occipitale molto allargato, come per estrarne il cervello; ma un più recente esame tafonomico ha stabilito che ciò è opera delle iene. Rimane attuale la problematica della manipolazione effettuata dal Neanderthal sulle ossa: per valenza rituale o utilitaristica? Meritano infine rilievo alcuni oggetti che non appaiono d’uso comune. In una grotta in Slovenia, ad un’industria musteriana era associato un femore d’orso con tre fori artificiali, la cui interpretazione come flauto è stata confermata dopo una critica iniziale. In altri casi (Ungheria, Monte Circeo) alcune ossa presentano tratti incisi, la cui intenzionalità difficilmente può essere accertata. La scoperta più significativa rimane un frammento d’osso lungo con un motivo intenzionale a zig-zag (musteriano, Bulgaria, prima di 47ka BP).
Abbastanza numerose sono le sepolture venute in luce in Francia e nel Vicino e Medio Oriente. La prima scoperta venne effettuata nel 1908 in una grotta a La Chapelle-aux-Saaints, dove uno scheletro in posizione flessa fu rinvenuto in una fossa scavata per 30cm nel fondo roccioso della grotta; frammenti di osso di grandi mammiferi al di sopra della testa furono interpretati come offerte, ma non è sicuro.
Nel Riparo di Le Moustier, dopo la scoperta della sepoltura di un adolescente, nel 1914 vennero in luce due fosse: la più piccola conteneva i resti di un bambino; quella più grande, priva di resti scheletrici, era ricoperta da tre lastre di pietra. Nel corso degli scavi condotti a La Ferrassie una notevole quantità di sepolture comparve alla base del deposito del Paleolitico Medio.
Furono inizialmente rinvenuti 2adulti in 2fosse contigue: un maschio di 45anni e una donna di 30, entrambi cogli arti flessi. Vicino a queste sepolture, ne vennero trovate altre con resti di bambini e feti. Non si può stabilire se questa concentrazione sia casuale o se corrisponda a un’area riservata alle sepolture. Merita rilievo la deposizione di un bombo di 3anni col cranio separato dal corpo in una fossa ricoperta da una lastra di pietra con coppie di cuppelle sulla faccia inferiore.
Nella Grotta di Kebara (Israele) vennero trovati i resti e lo scheletro, privo del calvario, di un maschio adulto deposto in posizione supina. È probabile che l’asportazione del calvario sia riconducibile all’intervento umano (culto dei crani?).
In Iraq nella Grotta di Shanidar è sepolto un maschio 35enne. Le analisi hanno evidenziato una forte concentrazione di pollini di varie piante, che ha portato a pensare a una deposizione volontaria di fiori; più probabilmente, però, i pollini sono stati trasportati dal vento.
In Uzbekistan, il corpo di un bimbo di 9anni era circondato da corna di capra siberiana, messe di proposito. Il tipico esempio pratica di cannibalismo rituale era considerato il rinvenimento nella Grotta Guattari a San Felice Circeo: un calvario neandertaliano con il forame occipitale molto allargato, come per estrarne il cervello; ma un più recente esame tafonomico ha stabilito che ciò è opera delle iene. Rimane attuale la problematica della manipolazione effettuata dal Neanderthal sulle ossa: per valenza rituale o utilitaristica? Meritano infine rilievo alcuni oggetti che non appaiono d’uso comune. In una grotta in Slovenia, ad un’industria musteriana era associato un femore d’orso con tre fori artificiali, la cui interpretazione come flauto è stata confermata dopo una critica iniziale. In altri casi (Ungheria, Monte Circeo) alcune ossa presentano tratti incisi, la cui intenzionalità difficilmente può essere accertata. La scoperta più significativa rimane un frammento d’osso lungo con un motivo intenzionale a zig-zag (musteriano, Bulgaria, prima di 47ka BP).
I COMPLESSI DI TRANSIZIONE
In concomitanza con la vasta diffusione dell’Aurignaziano, in alcune regioni europee si sviluppano i “complessi di transizione”, contraddistinti da caratteri ricollegabili alle locali tradizioni del Paleolitico Medio ma anche da elementi innovativi propri del Paleolitico Superiore.
Di essi soltanto al Castelperroniano sono associati i resti scheletrici di Neandertaliani. Fino a pochi anni fa il Castelperroniano era considerato il primo complesso del Paleolitico Superiore ed associato al Sapiens.
Dopo la scoperta di resti neandertaliani in Francia associati a industria litica castelperroniana e numerosi manufatti in osso, ci si è ravveduti sulle considerazioni iniziali.
Il Castelperroniano è dunque attualmente attribuito agli ultimi Neandertaliani, giustificando tra l’altro le analogie evidenziate da Bordes con il Musteriano di tradizione acheuleana, caratterizzato nella sua fase recente da coltelli a dorso che preludono alla cosiddetta “punta di Châtelperron”. Le datazione radiometriche sono comprese tra 35 e 30ka BP.
L’ Uluzziano è anch’esso caratterizzato da strumenti a dorso rappresentati dai tipici segmenti a cerchio detti “semilune”, associati a bulini, grattatoi, punte a dorso, pezzo scagliati (con ritocco scagliato ottenuto con percussione bipolare); rari sono punteruoli e punte in osso. L’Uluzziano è collocabile all’incirca nello stesso arco cronologico del Castelperroniano.
In concomitanza con la vasta diffusione dell’Aurignaziano, in alcune regioni europee si sviluppano i “complessi di transizione”, contraddistinti da caratteri ricollegabili alle locali tradizioni del Paleolitico Medio ma anche da elementi innovativi propri del Paleolitico Superiore.
Di essi soltanto al Castelperroniano sono associati i resti scheletrici di Neandertaliani. Fino a pochi anni fa il Castelperroniano era considerato il primo complesso del Paleolitico Superiore ed associato al Sapiens.
Dopo la scoperta di resti neandertaliani in Francia associati a industria litica castelperroniana e numerosi manufatti in osso, ci si è ravveduti sulle considerazioni iniziali.
Il Castelperroniano è dunque attualmente attribuito agli ultimi Neandertaliani, giustificando tra l’altro le analogie evidenziate da Bordes con il Musteriano di tradizione acheuleana, caratterizzato nella sua fase recente da coltelli a dorso che preludono alla cosiddetta “punta di Châtelperron”. Le datazione radiometriche sono comprese tra 35 e 30ka BP.
L’ Uluzziano è anch’esso caratterizzato da strumenti a dorso rappresentati dai tipici segmenti a cerchio detti “semilune”, associati a bulini, grattatoi, punte a dorso, pezzo scagliati (con ritocco scagliato ottenuto con percussione bipolare); rari sono punteruoli e punte in osso. L’Uluzziano è collocabile all’incirca nello stesso arco cronologico del Castelperroniano.
IL PALEOLITICO SUPERIORE
I PRINCIPALI COMPLESSI INDUSTRIALI
L’ Aurignaziano (da sito Aurignac) è il primo grande complesso del Paleolitico Superiore collegabile all’homo Sapiens. Intorno a 38-36ka BP risulta già esteso a quasi l’intero territorio europeo. Sono state distinte tre fasi principali: una antica, rappresentata in siti dell’Europa orientale e centrale anteriori a 35ka BP; una classica, corrispondente alla massima estensione e datata tra 35-28ka BP; una tarda, compresa tra 28-19ka BP e identificabile in siti che sembrano rimasti in una sorta di isolamento periferico in corrispondenza della diffusione del Gravettiano.
Ben caratterizzata è l’industria litica in cui vengono introdotte nuove catene operative finalizzate alla produzione di lame sia grandi, sia piccole (riservate per strumenti a dorso). Strumenti tipici sono i bulini a biseau carenato, ottenuto cioè con più stacchi trasversali che talora terminano con un incavo d’arresto (bulini busqués),grattatoi a muso e carenati, punte e lamelle a dorso marginale; tra quest’ultime ricorrente è il cosiddetto “tipo Dufour”, caratterizzato dalla presenza del ritocco alterno o inverso.
Nell’Aurignaziano italiano, Luigi Palma ha identificato tre tradizioni cronologicamente parallelizzabili: una a dorsi marginali; una con tipi “classici” quali le lame con strozzatura; una che appare come un’ibridazione tra Aurignaziano e Uluzziano ed è limitata alle regioni centro-meridionali.
La prima è ben documentata nella Grotta di Fumane, dove sono rappresentati bulini a biseau carenato e lamelle a ritocco erto marginale; alle più comuni zagaglie si associano oggetti di ornamento costituiti da incisivi di erbivoro incisi e conchiglie marine forate.
Il Gravettiano (da Riparo La Gravette); diffuso in tutta Europa dopo l’Aurignaziano, si sviluppa tra circa 28-20ka BP. Diverse ipotesi sono state fatte in merito alla sua origine, tra cui una che prevede la generalizzata evoluzione dalle industrie aurignaziane a dorsi marginali verificatasi in quasi tutta Europa.
L’industria litica gravettiana è contraddistinta dalle punte a dorso tra cui la più diffusa è la “punta di La Gravette”, ricavata da supporti laminari mediante un ritocco erto profondo con andamento rettilineo; alle gavette si associano analoghe punte di dimensioni più ridotte (microgravettes). Frequenti sono piccole punte a forma di foglia con ritocco erto marginale dette flechettes. I manufatti in osso sono costituiti da zagaglie biconiche o cilindro-coniche, punteruoli, spatole e bastoni forati.
Nel Gravettiano dell’Europa occidentale sono state distinte tre fasi accomunate dalla presenza di gavette e microgravettes: una antica, caratterizzata dalle flechettes; una evoluta, in cui si sviluppano tipi specializzati quali il “bulino di Noailles”, la “punta dei Vachons”, la “punta di La Font Robert” (con peduncolo assiale funzionale all’immanicatura) e vari strumenti a ritocco erto; una fase recente, in cui scompaiono i tipi specializzati di quella evoluta.
Nell’Europa centro-orientale sono stati distinti diversi complessi, riuniti nel cosiddetto “Gravettiano occidentale” e accumunati dalla scheggiatura laminare, presenza di punte e lame a dorso rettilinee.
In Italia il Gravettiano appare collegabile a quello occidentali; la sequenza stratigrafica di Grotta Paglicci è articolata in una facies ancora poco caratterizzata, in evoluta a punta di La Font Robert e un ulteriore aspetto a dorsi troncati in cui permangono bulini, grattatoi frontali e gravettes.
L’ Aurignaziano (da sito Aurignac) è il primo grande complesso del Paleolitico Superiore collegabile all’homo Sapiens. Intorno a 38-36ka BP risulta già esteso a quasi l’intero territorio europeo. Sono state distinte tre fasi principali: una antica, rappresentata in siti dell’Europa orientale e centrale anteriori a 35ka BP; una classica, corrispondente alla massima estensione e datata tra 35-28ka BP; una tarda, compresa tra 28-19ka BP e identificabile in siti che sembrano rimasti in una sorta di isolamento periferico in corrispondenza della diffusione del Gravettiano.
Ben caratterizzata è l’industria litica in cui vengono introdotte nuove catene operative finalizzate alla produzione di lame sia grandi, sia piccole (riservate per strumenti a dorso). Strumenti tipici sono i bulini a biseau carenato, ottenuto cioè con più stacchi trasversali che talora terminano con un incavo d’arresto (bulini busqués),grattatoi a muso e carenati, punte e lamelle a dorso marginale; tra quest’ultime ricorrente è il cosiddetto “tipo Dufour”, caratterizzato dalla presenza del ritocco alterno o inverso.
Nell’Aurignaziano italiano, Luigi Palma ha identificato tre tradizioni cronologicamente parallelizzabili: una a dorsi marginali; una con tipi “classici” quali le lame con strozzatura; una che appare come un’ibridazione tra Aurignaziano e Uluzziano ed è limitata alle regioni centro-meridionali.
La prima è ben documentata nella Grotta di Fumane, dove sono rappresentati bulini a biseau carenato e lamelle a ritocco erto marginale; alle più comuni zagaglie si associano oggetti di ornamento costituiti da incisivi di erbivoro incisi e conchiglie marine forate.
Il Gravettiano (da Riparo La Gravette); diffuso in tutta Europa dopo l’Aurignaziano, si sviluppa tra circa 28-20ka BP. Diverse ipotesi sono state fatte in merito alla sua origine, tra cui una che prevede la generalizzata evoluzione dalle industrie aurignaziane a dorsi marginali verificatasi in quasi tutta Europa.
L’industria litica gravettiana è contraddistinta dalle punte a dorso tra cui la più diffusa è la “punta di La Gravette”, ricavata da supporti laminari mediante un ritocco erto profondo con andamento rettilineo; alle gavette si associano analoghe punte di dimensioni più ridotte (microgravettes). Frequenti sono piccole punte a forma di foglia con ritocco erto marginale dette flechettes. I manufatti in osso sono costituiti da zagaglie biconiche o cilindro-coniche, punteruoli, spatole e bastoni forati.
Nel Gravettiano dell’Europa occidentale sono state distinte tre fasi accomunate dalla presenza di gavette e microgravettes: una antica, caratterizzata dalle flechettes; una evoluta, in cui si sviluppano tipi specializzati quali il “bulino di Noailles”, la “punta dei Vachons”, la “punta di La Font Robert” (con peduncolo assiale funzionale all’immanicatura) e vari strumenti a ritocco erto; una fase recente, in cui scompaiono i tipi specializzati di quella evoluta.
Nell’Europa centro-orientale sono stati distinti diversi complessi, riuniti nel cosiddetto “Gravettiano occidentale” e accumunati dalla scheggiatura laminare, presenza di punte e lame a dorso rettilinee.
In Italia il Gravettiano appare collegabile a quello occidentali; la sequenza stratigrafica di Grotta Paglicci è articolata in una facies ancora poco caratterizzata, in evoluta a punta di La Font Robert e un ulteriore aspetto a dorsi troncati in cui permangono bulini, grattatoi frontali e gravettes.
Il Solutreano
(da Solutré) succede al Gravettiano
nelle serie stratigrafiche dell’area occidentale atlantica, dove si sviluppa
tra circa 20 e 18-17ka BP. Caratterizzato da strumenti specializzati, i foliati
ottenuti con il ritocco piatto, varie ipotesi sono state formulate in merito
alla sua origine. Breuil propose una suddivisione in tre fasi: Solutreano Inferiore, caratterizzato
dalle “punte a faccia piana”, ritoccate sulla faccia dorsale; Solutreano Medio, contraddistinto dalle
“foglie di lauro”, con ritocco coprente su entrambe le facce; Solutreano Superiore, caratterizzato
dalle “foglie a salice”, di forma allungata con ritocco coprente sulla faccia
dorsale, e da punte a cran (tacca), anch’esse a ritocco piatto.
Il Maddaleniano (Riparo di La Maddaleine) si sviluppa tra circa 18 e 12ka BP. Se ne possono distinguere due fasi principali: Maddaleniano Inferiore, caratterizzato da raclettes (schegge sottili) e zagaglie in osso a base sbiecata; Maddaleniano Superiore, contraddistinto da bulini “a becco di pappagallo” (bulini a ritocco di arresto), da piccole punte a lungo cran e da numerosi manufatti in osso e avorio.
Al termine della sequenza del Maddaleniano si colloca l’ Aziliano (Grotta di Mas d’Azil), collocabile tra
12-10ka BP. L’industria litica è caratterizzata da grattatoi molto corti tra cui tupi circolari, da “punte anziliane” (punte-bipunte a dorso ricurvo). Compaiono arponi piatti in corno di cervo (renna non c’è più).
In contemporaneità col Solutreano nell’area mediterranea, dalla Francia sud-orientale all’area balcanica, si diffonde l’ Epigravettiano intorno a 20ka BP. L’Epigravettiano Antico si articola in una sottofase a foliati ed in una a cran. L’Epigravettiano Evoluto, sviluppatosi tra 16-14,5ka BP, è contraddistinto da una più scadente tecnica di scheggiatura e dalla riduzione delle dimensioni dei manufatti, specie dei grattatoi. L’Epigravettiano Finale si estende fino al termine del Pleistocene (10ka BP) ed è caratterizzato da una marcata differenziazione regionale. Caratteri comuni sono lo sviluppo dei dorsi troncati, la diffusione dei geometrici in momenti diversi nelle varie aree e dei grattatoi circolari di piccole dimensioni che costituisco l’elemento distintivo di una facies detta “Romanelliano” (Grotta Romanelli).
Il Maddaleniano (Riparo di La Maddaleine) si sviluppa tra circa 18 e 12ka BP. Se ne possono distinguere due fasi principali: Maddaleniano Inferiore, caratterizzato da raclettes (schegge sottili) e zagaglie in osso a base sbiecata; Maddaleniano Superiore, contraddistinto da bulini “a becco di pappagallo” (bulini a ritocco di arresto), da piccole punte a lungo cran e da numerosi manufatti in osso e avorio.
Al termine della sequenza del Maddaleniano si colloca l’ Aziliano (Grotta di Mas d’Azil), collocabile tra
12-10ka BP. L’industria litica è caratterizzata da grattatoi molto corti tra cui tupi circolari, da “punte anziliane” (punte-bipunte a dorso ricurvo). Compaiono arponi piatti in corno di cervo (renna non c’è più).
In contemporaneità col Solutreano nell’area mediterranea, dalla Francia sud-orientale all’area balcanica, si diffonde l’ Epigravettiano intorno a 20ka BP. L’Epigravettiano Antico si articola in una sottofase a foliati ed in una a cran. L’Epigravettiano Evoluto, sviluppatosi tra 16-14,5ka BP, è contraddistinto da una più scadente tecnica di scheggiatura e dalla riduzione delle dimensioni dei manufatti, specie dei grattatoi. L’Epigravettiano Finale si estende fino al termine del Pleistocene (10ka BP) ed è caratterizzato da una marcata differenziazione regionale. Caratteri comuni sono lo sviluppo dei dorsi troncati, la diffusione dei geometrici in momenti diversi nelle varie aree e dei grattatoi circolari di piccole dimensioni che costituisco l’elemento distintivo di una facies detta “Romanelliano” (Grotta Romanelli).
CLIMA E AMBIENTE, ECONOMIA E INSEDIAMENTI
La glaciazione di Würm è caratterizzata da due Pleniglaciali separati da un lungo Interpleniglaciale, durante il quale si estingue l’uomo di Neanderthal e compare l’uomo anatomicamente moderno. I complessi del Paleolitico Superiore europeo si sviluppano nell’ambito dell’Interpleniglaciale, nel 2°Pleniglaciale e nel Tardogleciale (OIS3-2). Nel 2°Pleniglaciale, che raggiunge la massima intensità intorno a 24-22ka BP, si verifica un’imponente trasgressione dell’innlandsis; il clima generalmente freddo e arido determina la formazione della tundra attorno alle aree glacializzate e di steppe fredde e arborate più a sud; nella Francia sud-occidentale e nella penisola iberica predomina invece la foresta di conifere, mentre quella mista è confinata in ristrette aree di rifugio.
Il ritiro definitivi dall’Europa media dell’innlandsis segna l’inizio del Tardoglaciale, in cui si succedono fasi a clima freddo e arido intercalate a fasi temperate-umide.
Sviluppandosi nell’Interpleniglaciale, con qualche attarda mento locale che raggiunge l’inizio del 2°Pleniglaciale, sulla vasta diffusione dell’Aurignaziano devono aver influito le condizioni climatiche e ambientali poco diversificate. La caccia risulta rivolta a più specie di mammiferi, prevalentemente alla renna e al mammut.
Trattando del Musteriano, è stato detto della presenza in siti aurignaziani di materie prime reperite a oltre 50km dagli insediamenti. Valutando poco realistica l’eventualità di spostamenti in zone molto lontane dei gruppi del Paleolitico Superiore per l’approvigionamento di materia prima, A.Bietti evidenzia come dato archeologico fondamentale la costatazione che i manufatti di materia prima esotica sono in netta prevalenza supporti semilavorati o strumenti finiti. Ritiene questa evidenza archeologica perfettamente coerente con un sistema di scambio di “reciprocità bilanciata” caratteristico delle società di banda.
Gli abitati presentano una variata collocazione: all’aperto in zone pianeggianti, spesso vicine a corsi d’acqua; in ripari sotto roccia o all’imboccatura di grotte. Nella Grotta di Fumane, nella paleosuperficie aurignaziana, è stata identificata una capanna con due focolari, uno più piccolo nel settore atriale ed uno più grande nel settore esterno.
Nel Gravettiano il deterioramento climatico del 2°Pleniglaciale determina una varietà ambientale e relativi adattamenti dei gruppi umani alla disponibilità delle risorse. Nell’Europa occidentale la caccia risulta specializzata, predominando nettamente la renna. Nel sito di Bilancino (FI) veniva sfruttata la tifa, pianta palustre usata per corde, stuoie e anche una farina commestibile (la prima). Nell’Europa centro-orientale l’innlandsis invase aree sempre più ampie determinando condizioni ambientali che provocarono il progressivo spostamento dei cacciatori verso est, nella tundra e nella steppa-tundra, dove s’insediarono lungo i corsi dei grandi fiumi della pianura russa praticando caccia al mammut in grandi accampamenti stabili. Verso 26-25ka BP in Moravia, nell’ambiente della steppa-tundra e steppa-foresta pleniglaciale, vennero impiantati accampamenti nei quali è ipotizzata la presenza di oltre un centinaio di persone. Uno di essi era delimitato da un recinto e formato da 4capanne, di cui una con 5focolari, venute alla luce ai margini di una zona paludosa oltre la quale una grande fossa conteneva le ossa di oltre 200mammut; all’esterno del recinto una capanna più piccola con un forno per statuette d’argilla, rinvenute numerose, era forse l’abitazione di uno sciamano.
I cambiamenti climatici e ambientali in corrispondenza dell’acme del 2°Pleniglaciale condizionarono pesantemente la comunicazione tra gruppi umani. Si formarono vaste aree con condizioni ambientali incompatibili con l’habitat umano; le regioni interposte tra l’innlandsis e i ghiacciai alpini si spopolarono progressivamente, migrando i gruppi cacciatori che in precedenza occupavano quest’area verso la tundra e le steppe dell’Europa orientale. Le abitazioni nei siti maddaleniani della Francia settentrionale comprendevano una zona circolare interna protetta da una tenda e usata per il risposo, un focolare all’entrata, aree di varie attività all’esterno. A Mežirič in Ucraina sono venute alla luce 3capanne a pianta circolare la cui ottima conservazione ha consentito di rilevare i particolari della struttura. Per una di esse erano state usate le ossa di un centinaio di mammut.
La glaciazione di Würm è caratterizzata da due Pleniglaciali separati da un lungo Interpleniglaciale, durante il quale si estingue l’uomo di Neanderthal e compare l’uomo anatomicamente moderno. I complessi del Paleolitico Superiore europeo si sviluppano nell’ambito dell’Interpleniglaciale, nel 2°Pleniglaciale e nel Tardogleciale (OIS3-2). Nel 2°Pleniglaciale, che raggiunge la massima intensità intorno a 24-22ka BP, si verifica un’imponente trasgressione dell’innlandsis; il clima generalmente freddo e arido determina la formazione della tundra attorno alle aree glacializzate e di steppe fredde e arborate più a sud; nella Francia sud-occidentale e nella penisola iberica predomina invece la foresta di conifere, mentre quella mista è confinata in ristrette aree di rifugio.
Il ritiro definitivi dall’Europa media dell’innlandsis segna l’inizio del Tardoglaciale, in cui si succedono fasi a clima freddo e arido intercalate a fasi temperate-umide.
Sviluppandosi nell’Interpleniglaciale, con qualche attarda mento locale che raggiunge l’inizio del 2°Pleniglaciale, sulla vasta diffusione dell’Aurignaziano devono aver influito le condizioni climatiche e ambientali poco diversificate. La caccia risulta rivolta a più specie di mammiferi, prevalentemente alla renna e al mammut.
Trattando del Musteriano, è stato detto della presenza in siti aurignaziani di materie prime reperite a oltre 50km dagli insediamenti. Valutando poco realistica l’eventualità di spostamenti in zone molto lontane dei gruppi del Paleolitico Superiore per l’approvigionamento di materia prima, A.Bietti evidenzia come dato archeologico fondamentale la costatazione che i manufatti di materia prima esotica sono in netta prevalenza supporti semilavorati o strumenti finiti. Ritiene questa evidenza archeologica perfettamente coerente con un sistema di scambio di “reciprocità bilanciata” caratteristico delle società di banda.
Gli abitati presentano una variata collocazione: all’aperto in zone pianeggianti, spesso vicine a corsi d’acqua; in ripari sotto roccia o all’imboccatura di grotte. Nella Grotta di Fumane, nella paleosuperficie aurignaziana, è stata identificata una capanna con due focolari, uno più piccolo nel settore atriale ed uno più grande nel settore esterno.
Nel Gravettiano il deterioramento climatico del 2°Pleniglaciale determina una varietà ambientale e relativi adattamenti dei gruppi umani alla disponibilità delle risorse. Nell’Europa occidentale la caccia risulta specializzata, predominando nettamente la renna. Nel sito di Bilancino (FI) veniva sfruttata la tifa, pianta palustre usata per corde, stuoie e anche una farina commestibile (la prima). Nell’Europa centro-orientale l’innlandsis invase aree sempre più ampie determinando condizioni ambientali che provocarono il progressivo spostamento dei cacciatori verso est, nella tundra e nella steppa-tundra, dove s’insediarono lungo i corsi dei grandi fiumi della pianura russa praticando caccia al mammut in grandi accampamenti stabili. Verso 26-25ka BP in Moravia, nell’ambiente della steppa-tundra e steppa-foresta pleniglaciale, vennero impiantati accampamenti nei quali è ipotizzata la presenza di oltre un centinaio di persone. Uno di essi era delimitato da un recinto e formato da 4capanne, di cui una con 5focolari, venute alla luce ai margini di una zona paludosa oltre la quale una grande fossa conteneva le ossa di oltre 200mammut; all’esterno del recinto una capanna più piccola con un forno per statuette d’argilla, rinvenute numerose, era forse l’abitazione di uno sciamano.
I cambiamenti climatici e ambientali in corrispondenza dell’acme del 2°Pleniglaciale condizionarono pesantemente la comunicazione tra gruppi umani. Si formarono vaste aree con condizioni ambientali incompatibili con l’habitat umano; le regioni interposte tra l’innlandsis e i ghiacciai alpini si spopolarono progressivamente, migrando i gruppi cacciatori che in precedenza occupavano quest’area verso la tundra e le steppe dell’Europa orientale. Le abitazioni nei siti maddaleniani della Francia settentrionale comprendevano una zona circolare interna protetta da una tenda e usata per il risposo, un focolare all’entrata, aree di varie attività all’esterno. A Mežirič in Ucraina sono venute alla luce 3capanne a pianta circolare la cui ottima conservazione ha consentito di rilevare i particolari della struttura. Per una di esse erano state usate le ossa di un centinaio di mammut.
SEPOLTURE
Le pratiche funerarie del Paleolitico Superiore presentano caratteri innovativi rispetto a quelle dei Neandertaliani: deposti in fosse appositamente scavate, i defunti sono in posizione distesa o molto rannicchiata, talora cosparsi di ocra (rossa-sangue) e di solito accompagnati da offerte alimentari, da ornamenti costituiti per lo più da conchiglie marine o denti forati.
Tra 25,5-24,5ka BP sono datate le sepolture di Sungir in Russia, notevoli per la ricchezza degli oggetti di ornamento che suggerisce una vestizione rituale. Un vecchio di circa 60anni (raro) in posizione supina colle braccia incrociate era ricoperto da ocra rossa e dotato di un ricchissimo corredo comprensivo di manufatti litici, lastrina di scisto e ben oltre 3000 dischetti in osso e avorio di mammut, una parte dei quali doveva ornare una veste; completavano l’abbigliamento dei bracciali, una acconciatura, pendagli di denti di volpe.
In un’altra fossa erano un adolescente e una bimba, orientati in direzione opposta con le teste avvicinate ed accompagnati da molti ornamenti e armi in avorio (strano bambini con armi).
Numerose sono le sepolture trovate in Italia; tra le più antiche, comprese tra Gravettiano ed Epigravettiano Antico, molte sono in prossimità delle cavità costiere dei Balzi Rossi in Liguria. Nella Grotta del Caviglione un maschio adulto, con le gambe flesse, aveva un copricapo ed una sorta di “ginocchiera” formati da conchiglie ; un punteruolo in osso era sistemato sull’osso frontale. Molto interessante è la triplice sepoltura della Barma Grande, con ocra sotto e sopra gli inumati dotati di una ricca acconciatura e altri monili, tra cui fu rinvenuta una collana formata da due file di vertebre di pesce e una di conchiglie interrotte da canini di cervo. Tra le inumazioni della Grotta dei Fanciulli di età gravettiana è una bisoma (detta dei “negroidi” per un prognatismo alveolare dovuto ad un’errata ricostruzione delle facce) con una donna di 40anni e un giovane di 17 in posizione molto rannicchiata; al di sopra fu rinvenuto lo scheletro di un maschio adulto di alta statura in posizione supina.
Per la ricchezza del corredo si distingue tra tutte le sepolture liguri quella del cosiddetto “Giovane Principe”; è un alto ragazzo di 15anni che giaceva supino in una fossa col fondo cosparso d’ocra, con la quale era stato ricoperto anche il corpo; un blocco di pietra proteggeva il cranio. Aveva un copricapo di centinaia di piccole conchiglie, un pendaglio in osso con incisioni, una collana e altri pendagli. Il ruolo importante attribuito all’inumato è comprovato da 4bastoni forati in corno d’alce e da una grande lama in selce proveniente dalla Francia. Un grumo di argilla gialla copriva la metà sinistra della mandibola, in parte mancante per una ferita estesa alla clavicola che doveva aver causato la morte.
Tra le sepolture più antiche dell’Italia meridionale ce ne sono due di età gravettiana della Grotta Paglicci: attorno a 25-24ka BP risale quella di un maschio di 13 anni deposto sulla superficie del suolo; disteso sul dorso con una pietra sotto la testa ed un’altra pesante lastra sopra le tibie, era cosparso di ocra. A circa 13ka BP è riferibile la seconda sepoltura di una donna di 20anni, con offerte alimentari e manufatti litici.
Notevole è anche la quantità delle sepolture italiane dell’Epigravettiano Finale. Nella Caverna delle Arene Candide vennero in luce 16sepolture, di cui due duplici, di adulti e bambini. Furono rinvenuti ciottoli tinti d’ocra e un palco d’alce. Nel Riparo Villabruna, a 12ka BP risale la deposizione di un cacciatore con sei oggetti sull’avambraccio sinistro, forse contenuti in una sacca; la fossa venne colmata con terriccio e ricoperta di pietre, quattro delle quali conservano motivi dipinti con ocra, tra cui merita rilievo una figura schematica umana con moltiplicazione delle braccia, ritenuta un’esaltazione del valore del cacciatore.
Le pratiche funerarie del Paleolitico Superiore presentano caratteri innovativi rispetto a quelle dei Neandertaliani: deposti in fosse appositamente scavate, i defunti sono in posizione distesa o molto rannicchiata, talora cosparsi di ocra (rossa-sangue) e di solito accompagnati da offerte alimentari, da ornamenti costituiti per lo più da conchiglie marine o denti forati.
Tra 25,5-24,5ka BP sono datate le sepolture di Sungir in Russia, notevoli per la ricchezza degli oggetti di ornamento che suggerisce una vestizione rituale. Un vecchio di circa 60anni (raro) in posizione supina colle braccia incrociate era ricoperto da ocra rossa e dotato di un ricchissimo corredo comprensivo di manufatti litici, lastrina di scisto e ben oltre 3000 dischetti in osso e avorio di mammut, una parte dei quali doveva ornare una veste; completavano l’abbigliamento dei bracciali, una acconciatura, pendagli di denti di volpe.
In un’altra fossa erano un adolescente e una bimba, orientati in direzione opposta con le teste avvicinate ed accompagnati da molti ornamenti e armi in avorio (strano bambini con armi).
Numerose sono le sepolture trovate in Italia; tra le più antiche, comprese tra Gravettiano ed Epigravettiano Antico, molte sono in prossimità delle cavità costiere dei Balzi Rossi in Liguria. Nella Grotta del Caviglione un maschio adulto, con le gambe flesse, aveva un copricapo ed una sorta di “ginocchiera” formati da conchiglie ; un punteruolo in osso era sistemato sull’osso frontale. Molto interessante è la triplice sepoltura della Barma Grande, con ocra sotto e sopra gli inumati dotati di una ricca acconciatura e altri monili, tra cui fu rinvenuta una collana formata da due file di vertebre di pesce e una di conchiglie interrotte da canini di cervo. Tra le inumazioni della Grotta dei Fanciulli di età gravettiana è una bisoma (detta dei “negroidi” per un prognatismo alveolare dovuto ad un’errata ricostruzione delle facce) con una donna di 40anni e un giovane di 17 in posizione molto rannicchiata; al di sopra fu rinvenuto lo scheletro di un maschio adulto di alta statura in posizione supina.
Per la ricchezza del corredo si distingue tra tutte le sepolture liguri quella del cosiddetto “Giovane Principe”; è un alto ragazzo di 15anni che giaceva supino in una fossa col fondo cosparso d’ocra, con la quale era stato ricoperto anche il corpo; un blocco di pietra proteggeva il cranio. Aveva un copricapo di centinaia di piccole conchiglie, un pendaglio in osso con incisioni, una collana e altri pendagli. Il ruolo importante attribuito all’inumato è comprovato da 4bastoni forati in corno d’alce e da una grande lama in selce proveniente dalla Francia. Un grumo di argilla gialla copriva la metà sinistra della mandibola, in parte mancante per una ferita estesa alla clavicola che doveva aver causato la morte.
Tra le sepolture più antiche dell’Italia meridionale ce ne sono due di età gravettiana della Grotta Paglicci: attorno a 25-24ka BP risale quella di un maschio di 13 anni deposto sulla superficie del suolo; disteso sul dorso con una pietra sotto la testa ed un’altra pesante lastra sopra le tibie, era cosparso di ocra. A circa 13ka BP è riferibile la seconda sepoltura di una donna di 20anni, con offerte alimentari e manufatti litici.
Notevole è anche la quantità delle sepolture italiane dell’Epigravettiano Finale. Nella Caverna delle Arene Candide vennero in luce 16sepolture, di cui due duplici, di adulti e bambini. Furono rinvenuti ciottoli tinti d’ocra e un palco d’alce. Nel Riparo Villabruna, a 12ka BP risale la deposizione di un cacciatore con sei oggetti sull’avambraccio sinistro, forse contenuti in una sacca; la fossa venne colmata con terriccio e ricoperta di pietre, quattro delle quali conservano motivi dipinti con ocra, tra cui merita rilievo una figura schematica umana con moltiplicazione delle braccia, ritenuta un’esaltazione del valore del cacciatore.
PRODUZIONE FIGURATIVA
Scoperta, diffusione e cronologia
Nel Paleolitico Superiore europeo compare, intorno a 40-35ka BP, la pratica di elaborare immagini, comunemente denominata “arte preistorica”, termine non appropriato. Imperniata su due temi essenziali, il mondo animale e la fecondità, e dunque connessa alle esigenze di sussistenza e di esistenza stessa della comunità, è documentata sia su supporti trasportabile (“arte mobiliare”) sia sulle pareti e sulla volta delle grotte (“arte parietale” o “rupestre”).
La prima sicura testimonianza fu il rinvenimento nel 1864 di E.Lartet, nella Grotta di Le Madeleine, di un frammento di zanna di mammut con incisa la figura dello stesso animale di cui era riprodotto il vello (non sapevano ancora che il mammut avesse il pelo). Al 1879 risale la scoperta delle pitture della Grotta di Altamira (Spagna) che Marcelino de Sautola attribuì al Paleolitico. Gli scettici si dovettero ricredere al ritrovamento nel 1895 delle incisioni parietali nella Grotta di La Mouthe, rimasta completamente sigillata. Le manifestazioni figurative paleolitiche hanno avuto un’ampia diffusione nel territorio europeo, anche in Siberia. L’arte mobiliare è documentata soprattutto nei Pirenei, Moravia e Russia centrale. La maggior concentrazione di arte parietale interessa l’Europa occidentale, nell’area detta “provincia franco-cantabrica”. A metà del secolo scorso P.Graziosi distinse nella produzione più tarda un’altra area con caratteristiche particolarei, definita “provincia mediterranea”, estesa a Italia meridionale, Spagna e Francia meridionale.
Relativamente all’attribuzione cronologica, quella della produzione mobiliare proveniente da sicuri contesti stratigrafici non costituisce ovviamente un problema; per i numerosi oggetti privi di tali riferimenti è stata ipotizzata la cronologia confrontandone i caratteri stilistici con quelli databili. Problematica è stata invece l’attribuzione delle opere parietali, possibile nei pochi casi di rinvenimenti di frammenti distaccatisi dalle pareti. Solo negli ultimi anni col radiocarbonio, mediante metodo AMS che consente datazioni di campioni ridotti, sono stati datati direttamente materiali di origine organica usati per le pitture.
Scoperta, diffusione e cronologia
Nel Paleolitico Superiore europeo compare, intorno a 40-35ka BP, la pratica di elaborare immagini, comunemente denominata “arte preistorica”, termine non appropriato. Imperniata su due temi essenziali, il mondo animale e la fecondità, e dunque connessa alle esigenze di sussistenza e di esistenza stessa della comunità, è documentata sia su supporti trasportabile (“arte mobiliare”) sia sulle pareti e sulla volta delle grotte (“arte parietale” o “rupestre”).
La prima sicura testimonianza fu il rinvenimento nel 1864 di E.Lartet, nella Grotta di Le Madeleine, di un frammento di zanna di mammut con incisa la figura dello stesso animale di cui era riprodotto il vello (non sapevano ancora che il mammut avesse il pelo). Al 1879 risale la scoperta delle pitture della Grotta di Altamira (Spagna) che Marcelino de Sautola attribuì al Paleolitico. Gli scettici si dovettero ricredere al ritrovamento nel 1895 delle incisioni parietali nella Grotta di La Mouthe, rimasta completamente sigillata. Le manifestazioni figurative paleolitiche hanno avuto un’ampia diffusione nel territorio europeo, anche in Siberia. L’arte mobiliare è documentata soprattutto nei Pirenei, Moravia e Russia centrale. La maggior concentrazione di arte parietale interessa l’Europa occidentale, nell’area detta “provincia franco-cantabrica”. A metà del secolo scorso P.Graziosi distinse nella produzione più tarda un’altra area con caratteristiche particolarei, definita “provincia mediterranea”, estesa a Italia meridionale, Spagna e Francia meridionale.
Relativamente all’attribuzione cronologica, quella della produzione mobiliare proveniente da sicuri contesti stratigrafici non costituisce ovviamente un problema; per i numerosi oggetti privi di tali riferimenti è stata ipotizzata la cronologia confrontandone i caratteri stilistici con quelli databili. Problematica è stata invece l’attribuzione delle opere parietali, possibile nei pochi casi di rinvenimenti di frammenti distaccatisi dalle pareti. Solo negli ultimi anni col radiocarbonio, mediante metodo AMS che consente datazioni di campioni ridotti, sono stati datati direttamente materiali di origine organica usati per le pitture.
Le tecniche
Nel Paleolitico Superiore sono praticamente documentate tutte le tecniche ancora oggi adottate per creare opere d’arte: incisione, scultura a tutto tondo, bassorilievo ed altorilievo, pittura. Gli artefici dovevano dunque possedere un’attrezzatura idonea.
Per le incisioni, uno strumento particolarmente adatto pare il bulino in selce, soprattutto alcuni tipi con determinati caratteri come quello “a becco di pappagallo” che consente una solida presa appoggiando l’indice sul dorso ricurvo; l’uso del bulino è confermato dal rinvenimento di un esemplare nella parete incisa della Grotta de Pigeonnier. Ma si possono usare anche altri strumenti, comprovano 27manufatti con tracce di usura dalla Grotta di Lascaux: bulino, becco, troncatura,lamelle a dorso e schegge non ritoccate.
Per le piccole sculture in pietra pare talora determinante la scelta di un supporto idoneo a ridurre il lavoro di sgrossatura. Attrezzi robusti devono essere stati usati per fare bassorilievi, ipotesi avvalorata dagli strumenti a punta spessa chiamati “picchi”.
Per le pitture erano usate sostanze coloranti che si trovano allo stato naturale: ocre, carbone vegetale, ma anche manganese e raramente guano. L’ocra presenta varie tonalità che possono essere alterate col calore. Tale proprietà era stata scoperta e sfruttata per ottenere diverse sfumature. A Lascaux sono stati trovati blocchetti con tracce di raschiamento; la polvere ottenuta doveva essere poi miscelata con grassi animale, cera d’api o sostanze liquide. Per l’applicazione del colore è stato ipotizzati e sperimentato l’uso di pennelli. Per illuminare la parte più profonda delle cavità, venivano accesi dei fuochi, attestati da resti del carbone sul suolo di numerose grotte e da tracce di fumo sulle pareti. Sono state inoltre ritrovate lucerne, a Lascaux in gran quantità. In questa stessa grotta una serie di fori e sporgenze lungo le pareti del diverticolo assiale ha fatto supporre la costruzione di impalcature.
Nel Paleolitico Superiore sono praticamente documentate tutte le tecniche ancora oggi adottate per creare opere d’arte: incisione, scultura a tutto tondo, bassorilievo ed altorilievo, pittura. Gli artefici dovevano dunque possedere un’attrezzatura idonea.
Per le incisioni, uno strumento particolarmente adatto pare il bulino in selce, soprattutto alcuni tipi con determinati caratteri come quello “a becco di pappagallo” che consente una solida presa appoggiando l’indice sul dorso ricurvo; l’uso del bulino è confermato dal rinvenimento di un esemplare nella parete incisa della Grotta de Pigeonnier. Ma si possono usare anche altri strumenti, comprovano 27manufatti con tracce di usura dalla Grotta di Lascaux: bulino, becco, troncatura,lamelle a dorso e schegge non ritoccate.
Per le piccole sculture in pietra pare talora determinante la scelta di un supporto idoneo a ridurre il lavoro di sgrossatura. Attrezzi robusti devono essere stati usati per fare bassorilievi, ipotesi avvalorata dagli strumenti a punta spessa chiamati “picchi”.
Per le pitture erano usate sostanze coloranti che si trovano allo stato naturale: ocre, carbone vegetale, ma anche manganese e raramente guano. L’ocra presenta varie tonalità che possono essere alterate col calore. Tale proprietà era stata scoperta e sfruttata per ottenere diverse sfumature. A Lascaux sono stati trovati blocchetti con tracce di raschiamento; la polvere ottenuta doveva essere poi miscelata con grassi animale, cera d’api o sostanze liquide. Per l’applicazione del colore è stato ipotizzati e sperimentato l’uso di pennelli. Per illuminare la parte più profonda delle cavità, venivano accesi dei fuochi, attestati da resti del carbone sul suolo di numerose grotte e da tracce di fumo sulle pareti. Sono state inoltre ritrovate lucerne, a Lascaux in gran quantità. In questa stessa grotta una serie di fori e sporgenze lungo le pareti del diverticolo assiale ha fatto supporre la costruzione di impalcature.
I principali
documenti
I documenti sicuramente riferibili all’Aurignaziano consistono in immagini incomplete e schematiche di animali visti di profilo. Do notevole importanza sono le pitture risalenti a circa 37-36ka BP – le più antiche ad oggi scoperte – della Grotta di Fumane, realizzate su frammenti di calcare rinvenuti nei livelli aurignaziani, verosimilmente staccatisi dalle pareti e dal soffitto della grotta; tra le immagini, per lo più non ben riconoscibili, compare una figura umana schematica, il cosiddetto “sciamano”. Da siti della Germania provengono statuette di animali rese con senso realistico; singolare è una scultura antropo-teriomorfa con corpo umano maschile e testa di felino.
Sorprendenti sono stati i risultati delle datazioni radiometriche fatte sui carboni usati per le pitture della Grotta Chauvet, che hanno portato a riferire all’Aurignaziano lo stile decisamente naturalistico con cura delle proporzioni e dei dettagli anatomici, effetti di chiaroscuro e visione prospettica che contraddistingue questo importante complesso, in cui sono raffigurati animali pericolosi, meno frequenti nelle fasi più tarde.
Nel Gravettiano appaiono più diffuse in tutta Europa statuette femminili in avorio, osso, terracotta comunemente dette “Veneri”, contraddistinte dall’enfatizzazione delle parti del corpo collegate alla gravidanza; la testa è sferica o allungata e priva dei lineamenti del volto, ad eccezione della testina di Brassempouy in cui è riprodotta un’acconciatura e sono evidenziati il naso e le sopracciglia.
Le braccia sono ripiegare sui seni negli esemplari dell’Europa centro-occidentale, riunite sul ventre in quelli dell’area orientale.
Nel “Gravettiano orientale” a Pavlov vennero realizzare statuette di varie specie animale, oltre a figure antropomorfe.
L’incisione su pietra è documentata da un numero piuttosto limitato di reperti. In Italia il più antico oggetto mobiliare di sicura datazione proviene da uno strato del Gravettiano Evoluto, 22ka BP circa, della Grotta Paglicci: si tratta di un frammento di osso inciso con la figura di uno stambecco visto di profilo.
Tra le incisioni parietali, di notevole interesse è il complesso di figure di animali della grotta di Pair-non-Pair, ricoperte da livelli gravettiani al di sopra di strati aurignaziani; non possono esser dunque posteriori al Gravettiano e non è da escludere un’appartenenza alla fine dell’Aurignaziano.
Nell’ambito del bassorilievo la documentazione più interessante è costituita dai blocchi del Riparo di Laussel, caduti dalla parete e in parte probabilmente riferibili ai livelli gravettiani.
Al Solutreano è riconducibile un repertorio mobiliare assai scarso. In alcuni casi sono stati rinvenuti frammenti di pietre con figure animali; curiosa la rappresentazione di una cerva che allatta il piccolo.
Le opere più pregevoli sono i bassorilievi su grandi blocchi rinvenuti nel deposito solutreano del Riparo del Roc de Sers, tra le cui figure di animali alcune sono state trasformate in altre specie, come nel caso di un bisonte colla testa di cinghiale.
Nel Maddaleniano si sviluppa la produzione mobiliare contraddistinta da un progressivo incremento della decorazione di armi e strumenti. Al Maddaleniano Antico sono riferibili i bastoni forati e pietre incise della Grotta di La Marche con figure non solo di animali, ma anche umane: alcune sono intere, sia femminili sia maschili e talora vestite, ma più numerose sono peculiari teste con tratti fisionomici , una sorta di ritratti.
Nel Maddaleniano 4° si decorano armi in maniera così elaborata da far supporre siano oggetti simbolici o da parata. Uno di quelli decorati più spesso è il propulsore, comunemente in corno di renna, usato per lancio di armi da getto. Altri oggetti decorati sono i bastoni forati, tra cui si distingue quello da Lorthet con figure incise di cervi che attraversano un corso d’acqua indicato da alcuni salmoni; e i cosiddetti “profili ritagliati”, consistenti nel ritagliare sottili lamine ossee seguendo il profilo dell’animale e rendendo con l’incisione i particolare interni. Con questa tecnica veniva decorato il manico di spatole (spesso a forma di pesce). Oltre a soggetti figurativi, ricorrono motivi stilizzati e geometrici tra cui quelli su bacchette a sezione semicircolare. Continuano a esser decorati anche oggetti non di uso. Di particolare interesse sono alcuni tentativi di prospettiva: su un ciottolo dalla Grotta di Chaffaud, di due mandrie di cavalli sono raffigurati completamente il primo e l’ultimo, mentre degli altri sono disegnati solo le teste e le zampe.
All’alto livello raggiunto dalla produzione mobiliare nel Maddaleniano 4° segue una progressiva decadenza nelle fasi successive. Tipici dell’Aziliano sono piccoli ciottoli fluviali, in genere allungati e piatti, dipinti con ocra rossa, rari in nero, o con incisioni a motivi geometrici e schematici; originatasi nei Pirenei, questa produzione di probabile significato simbolico si diffonde verso la Francia centro-orientale e attraverso la Provenza raggiunge l’Italia.
I documenti sicuramente riferibili all’Aurignaziano consistono in immagini incomplete e schematiche di animali visti di profilo. Do notevole importanza sono le pitture risalenti a circa 37-36ka BP – le più antiche ad oggi scoperte – della Grotta di Fumane, realizzate su frammenti di calcare rinvenuti nei livelli aurignaziani, verosimilmente staccatisi dalle pareti e dal soffitto della grotta; tra le immagini, per lo più non ben riconoscibili, compare una figura umana schematica, il cosiddetto “sciamano”. Da siti della Germania provengono statuette di animali rese con senso realistico; singolare è una scultura antropo-teriomorfa con corpo umano maschile e testa di felino.
Sorprendenti sono stati i risultati delle datazioni radiometriche fatte sui carboni usati per le pitture della Grotta Chauvet, che hanno portato a riferire all’Aurignaziano lo stile decisamente naturalistico con cura delle proporzioni e dei dettagli anatomici, effetti di chiaroscuro e visione prospettica che contraddistingue questo importante complesso, in cui sono raffigurati animali pericolosi, meno frequenti nelle fasi più tarde.
Nel Gravettiano appaiono più diffuse in tutta Europa statuette femminili in avorio, osso, terracotta comunemente dette “Veneri”, contraddistinte dall’enfatizzazione delle parti del corpo collegate alla gravidanza; la testa è sferica o allungata e priva dei lineamenti del volto, ad eccezione della testina di Brassempouy in cui è riprodotta un’acconciatura e sono evidenziati il naso e le sopracciglia.
Le braccia sono ripiegare sui seni negli esemplari dell’Europa centro-occidentale, riunite sul ventre in quelli dell’area orientale.
Nel “Gravettiano orientale” a Pavlov vennero realizzare statuette di varie specie animale, oltre a figure antropomorfe.
L’incisione su pietra è documentata da un numero piuttosto limitato di reperti. In Italia il più antico oggetto mobiliare di sicura datazione proviene da uno strato del Gravettiano Evoluto, 22ka BP circa, della Grotta Paglicci: si tratta di un frammento di osso inciso con la figura di uno stambecco visto di profilo.
Tra le incisioni parietali, di notevole interesse è il complesso di figure di animali della grotta di Pair-non-Pair, ricoperte da livelli gravettiani al di sopra di strati aurignaziani; non possono esser dunque posteriori al Gravettiano e non è da escludere un’appartenenza alla fine dell’Aurignaziano.
Nell’ambito del bassorilievo la documentazione più interessante è costituita dai blocchi del Riparo di Laussel, caduti dalla parete e in parte probabilmente riferibili ai livelli gravettiani.
Al Solutreano è riconducibile un repertorio mobiliare assai scarso. In alcuni casi sono stati rinvenuti frammenti di pietre con figure animali; curiosa la rappresentazione di una cerva che allatta il piccolo.
Le opere più pregevoli sono i bassorilievi su grandi blocchi rinvenuti nel deposito solutreano del Riparo del Roc de Sers, tra le cui figure di animali alcune sono state trasformate in altre specie, come nel caso di un bisonte colla testa di cinghiale.
Nel Maddaleniano si sviluppa la produzione mobiliare contraddistinta da un progressivo incremento della decorazione di armi e strumenti. Al Maddaleniano Antico sono riferibili i bastoni forati e pietre incise della Grotta di La Marche con figure non solo di animali, ma anche umane: alcune sono intere, sia femminili sia maschili e talora vestite, ma più numerose sono peculiari teste con tratti fisionomici , una sorta di ritratti.
Nel Maddaleniano 4° si decorano armi in maniera così elaborata da far supporre siano oggetti simbolici o da parata. Uno di quelli decorati più spesso è il propulsore, comunemente in corno di renna, usato per lancio di armi da getto. Altri oggetti decorati sono i bastoni forati, tra cui si distingue quello da Lorthet con figure incise di cervi che attraversano un corso d’acqua indicato da alcuni salmoni; e i cosiddetti “profili ritagliati”, consistenti nel ritagliare sottili lamine ossee seguendo il profilo dell’animale e rendendo con l’incisione i particolare interni. Con questa tecnica veniva decorato il manico di spatole (spesso a forma di pesce). Oltre a soggetti figurativi, ricorrono motivi stilizzati e geometrici tra cui quelli su bacchette a sezione semicircolare. Continuano a esser decorati anche oggetti non di uso. Di particolare interesse sono alcuni tentativi di prospettiva: su un ciottolo dalla Grotta di Chaffaud, di due mandrie di cavalli sono raffigurati completamente il primo e l’ultimo, mentre degli altri sono disegnati solo le teste e le zampe.
All’alto livello raggiunto dalla produzione mobiliare nel Maddaleniano 4° segue una progressiva decadenza nelle fasi successive. Tipici dell’Aziliano sono piccoli ciottoli fluviali, in genere allungati e piatti, dipinti con ocra rossa, rari in nero, o con incisioni a motivi geometrici e schematici; originatasi nei Pirenei, questa produzione di probabile significato simbolico si diffonde verso la Francia centro-orientale e attraverso la Provenza raggiunge l’Italia.
Passando alla produzione parietale, al
Maddaleniano Antico è riferibile uno dei più grandiosi complessi, quello della
Grotta di Lascaux. La morfologia interna della grotta porta a distinguere più
ambienti: da una grande sala, la “rotonda”, si dipartono un diverticolo assiale
ed un secondo corridoio che conduce all’”abside”, alla cui estremità si apre un
pozzo,e continua nella “navata” terminando con la sala dei felini. Le figure
sono dipinte a tinta piena o limitate al profilo. Sono talora usati due colori,
marginando ad esempio di nero le figure gialle o rosse, oppure dipingendo di
nero solo la testa. Nella “rotonda” si
sviluppa un’imponente composizione di tori dipinti in nero fino a 5,5m di
lunghezza, accompagnati da cavalli e cervi. Tra i soggetti rappresentati
predomina il cavallo, con testa piccola, zampe corte e zoccoli rotondeggianti,
talvolta colpito da armi (tipico del Maddaleniano). I cervi presentano spesso
corna molto sviluppate.
In prossimità degli animali compaiono spesso segni di vario tipo; come trappole sono stati interpretati quelli rettangolari a “griglia”, da cui si distinguono per la campitura in vari colori i cosiddetti “blasoni”. Originale è la scena dipinta in fondo al pozzo con un bisonte ferito da una zagaglia, dal quale sembrano fuoriuscire le interiora, in atto di caricare un uomo colla testa di uccello (figura che si ripropone all’estremità di uno di due bastoni uncinati, forse propulsori, dipinti in prossimità dell’uomo).
Il carattere peculiare di questo eccezionale complesso è dato dalla vivacità espressiva e dal senso del dinamismo quali non si ritrovano nella produzione del Maddaleniano Recente, contraddistinta da un più marcato verismo ma anche da una maggiore staticità.
Due cavalli dipinti nella Grotta di Pech-Merle con il corpo cosparso di punteggiature (ferite da armi) sono state avvicinate al complesso di Lascaux come stile.
Al Maddaleniano 3° è attribuito il grande fregio scolpito nel Riparo del Cap Blanc. Consiste in una lunga fila (14m) di 8cavalli in grandezza naturale scolpiti in forte rilievo, associati a due buoi e due bisonti più piccoli.
Di eccezionale interesse è la coppia di bisonti modellati in argilla rinvenuta nella sala terminale, alla quale conduce una lunga ed impervia galleria, della Grotta del Tuc d’Audolbert; perfette sono le proporzioni ed accuratamente delineati i particolari.
Sul suolo argilloso di un cunicolo di accesso alla sala si sono conservate cinque file di impronte di piedi umani, limitate al tallone, di dimensioni piuttosto ridotte e quindi attribuite a individui giovani; sono state interpretate come tracce di una danza rituale di iniziazione.
Nell’ambito delle incisioni parietali, un imponente complesso è quello della Grotta del Trois Frères, dove compare un groviglio apparentemente inestricabile di figure di animali e di alcune antropo-teriomorfe su cui domina il cosiddetto “stregone” alto 75cm, inciso e dipinto di nero.
Merita infine rilievo l’immagine di un orso con il corpo cosparso di segni circolari e un fascio di linee che fuoriesce dalla bocca, interpretati come riproduzioni di ferite e di un getto di sangue.
Al Maddaleniano 5° sono riferibili le incisioni della Grottaa di La Mairie à Teyat: alla magia propiziatoria della riproduzione animale è stata collegata la composizione di un toro che segue una vacca.
Le pitture parietali del Maddaleniano Avanzato presentano effetti di chiaroscuro che conferiscono plasticità alle figure. Monocrome sono quelle dipinte in nero della Grotta di Niaux, addensate nella cosiddetta “Sala nera”, alquanto lontana dall’ingresso; sul corpo sono dipinte frecce in nero o rosso, raffigurate anche su un bisonte inciso sul suolo argilloso on corrispondenza di piccole cavità prodotte dallo stillicidio, forse usate per indicare le ferite. Le pitture policrome più famose sono quelle della volta della Grotta di Altamira: 25 figure di cinghiali, cavallo, cerva e numerosi bisonti di dimensioni notevoli, per la cui poderosa massa corporea sono stati usati mammelloni stalagmitici della volta completandoli con il colore e conferendo alle figure posizioni erette o accovacciate, a seconda della forma dei rilievi.
Passando alla produzione delle altre regioni europee, trovano affinità in quella maddaleniana alcuni bastoni forati e frammenti di pietre con incisioni, qual ad esempio la figura di una renna in atto di brucare in Svizzera. Peculiari sono invece le statuette femminili fortemente stilizzate in Renania e Baden, talora con foro di sospensione. In Moravia sono stati trovati alcuni frammenti di osso con incisi motivi geometrici e una figura femminile stilizzata. La produzione di statuette raggiunge la Siberia, dove da Maltà provengono figurine femminili sia in stile naturalistico, con decorazioni che riproducono acconciature e vesti, sia molto stilizzate, interpretate come figure antropomorfe o uccelli dal lungo collo.
In prossimità degli animali compaiono spesso segni di vario tipo; come trappole sono stati interpretati quelli rettangolari a “griglia”, da cui si distinguono per la campitura in vari colori i cosiddetti “blasoni”. Originale è la scena dipinta in fondo al pozzo con un bisonte ferito da una zagaglia, dal quale sembrano fuoriuscire le interiora, in atto di caricare un uomo colla testa di uccello (figura che si ripropone all’estremità di uno di due bastoni uncinati, forse propulsori, dipinti in prossimità dell’uomo).
Il carattere peculiare di questo eccezionale complesso è dato dalla vivacità espressiva e dal senso del dinamismo quali non si ritrovano nella produzione del Maddaleniano Recente, contraddistinta da un più marcato verismo ma anche da una maggiore staticità.
Due cavalli dipinti nella Grotta di Pech-Merle con il corpo cosparso di punteggiature (ferite da armi) sono state avvicinate al complesso di Lascaux come stile.
Al Maddaleniano 3° è attribuito il grande fregio scolpito nel Riparo del Cap Blanc. Consiste in una lunga fila (14m) di 8cavalli in grandezza naturale scolpiti in forte rilievo, associati a due buoi e due bisonti più piccoli.
Di eccezionale interesse è la coppia di bisonti modellati in argilla rinvenuta nella sala terminale, alla quale conduce una lunga ed impervia galleria, della Grotta del Tuc d’Audolbert; perfette sono le proporzioni ed accuratamente delineati i particolari.
Sul suolo argilloso di un cunicolo di accesso alla sala si sono conservate cinque file di impronte di piedi umani, limitate al tallone, di dimensioni piuttosto ridotte e quindi attribuite a individui giovani; sono state interpretate come tracce di una danza rituale di iniziazione.
Nell’ambito delle incisioni parietali, un imponente complesso è quello della Grotta del Trois Frères, dove compare un groviglio apparentemente inestricabile di figure di animali e di alcune antropo-teriomorfe su cui domina il cosiddetto “stregone” alto 75cm, inciso e dipinto di nero.
Merita infine rilievo l’immagine di un orso con il corpo cosparso di segni circolari e un fascio di linee che fuoriesce dalla bocca, interpretati come riproduzioni di ferite e di un getto di sangue.
Al Maddaleniano 5° sono riferibili le incisioni della Grottaa di La Mairie à Teyat: alla magia propiziatoria della riproduzione animale è stata collegata la composizione di un toro che segue una vacca.
Le pitture parietali del Maddaleniano Avanzato presentano effetti di chiaroscuro che conferiscono plasticità alle figure. Monocrome sono quelle dipinte in nero della Grotta di Niaux, addensate nella cosiddetta “Sala nera”, alquanto lontana dall’ingresso; sul corpo sono dipinte frecce in nero o rosso, raffigurate anche su un bisonte inciso sul suolo argilloso on corrispondenza di piccole cavità prodotte dallo stillicidio, forse usate per indicare le ferite. Le pitture policrome più famose sono quelle della volta della Grotta di Altamira: 25 figure di cinghiali, cavallo, cerva e numerosi bisonti di dimensioni notevoli, per la cui poderosa massa corporea sono stati usati mammelloni stalagmitici della volta completandoli con il colore e conferendo alle figure posizioni erette o accovacciate, a seconda della forma dei rilievi.
Passando alla produzione delle altre regioni europee, trovano affinità in quella maddaleniana alcuni bastoni forati e frammenti di pietre con incisioni, qual ad esempio la figura di una renna in atto di brucare in Svizzera. Peculiari sono invece le statuette femminili fortemente stilizzate in Renania e Baden, talora con foro di sospensione. In Moravia sono stati trovati alcuni frammenti di osso con incisi motivi geometrici e una figura femminile stilizzata. La produzione di statuette raggiunge la Siberia, dove da Maltà provengono figurine femminili sia in stile naturalistico, con decorazioni che riproducono acconciature e vesti, sia molto stilizzate, interpretate come figure antropomorfe o uccelli dal lungo collo.
In Italia nell’Epigravettiano Evoluto
finale abbiamo una consistente produzione mobiliare. Dallo strato 8 di Grotta
Paglicci, sono avvicinabili allo stile franco-cantabrico un’originale scena
naturalistica su un frammento osseo di un uccello che cova le uova nel nido
mentre un serpente sta per scagliarsi sulla preda e, in maniera ancor più
evidente, la figura di un cavallo in corsa colpito da molte frecce. Sulla
faccia opposta dello stesso supporto, la testa di un bue e altri animali
incompleti sono resi in uno stile più semplificato ed essenziale, riconducibile
a quello definito “mediterraneo”. Manifestazioni tardive ancora connesse
all’ambiente franco-cantabrico sono alcune incisioni dalla Grotta di Vado
all’Arancio, tra cui la testa di un uomo barbuto. Disegni geometrici sono
talora associati a quelli figurativi, come nel caso della Grotta Polesini: a
figure di tipo franco-cantabrico si associano altre in stile mediterraneo.
Con uno stile naturalistico ancor più irrigidito sono rese le figure zoomorfe di Grotta Romanelli, associate ad assai più numerosi motivi geometrici e schematici.
Passando alla produzione parietale, all’Epigravettiano Antico è riferibile un frammento forse distaccatosi dalla volta di Grotta Paglicci, conservante la parte posteriore di un cavallo; la forma degli zoccoli richiama quelli di Lascaux. Nella stessa grotta altre figure di equidi sono dipinte in una piccola sala interna insieme a impronte di mani. Costituisce la più alta espressone dello stile veristico mediterraneo la possente figura di un toro nel deposito del Riparo del Romito.
Con lo stile irrigidito del bue sul blocco calcareo del tardo Epigravettiano sopra citato, contrasta nettamente quello delle figure parietali della Grotta di Cala dei Genovesi, probabilmente da riferire a un momento precedente: meritano rilievo un cerbiatto che volge la testa, un toro in corsa di cui sono ben resi il movimento e il senso di potenza, e tre antropomorfi con strani copricapi o maschere, di cui uno colla barba. Altro importante complesso è quello delle Grotta dell’Addaura, dove alcuni animali sono riprodotti in posizione marginale rispetto a un gruppo di antropomorfi componente una scena originale, interpretata come l’esecuzione capitale mediante strangolamento o l’esercizio di acrobati davanti a spettatori.
In merito al significato della documentazione passata in rassegna, diverse ipotesi sono state formulate per interpretare un fenomeno che a oggi rimane impenetrabile. I due principali temi sono: quello della fecondità espresso dalle “Veneri” e da figure di coppie di animali e l’altro incentrato sulla raffigurazione di specie faunistiche talora anche feroci e pericolose per l’uomo e per la caccia; tra i soggetti raffigurati e quelli reali sarebbe intercorso un rapporto di identificazione che avrebbe consentito di agire sui secondi attraverso i primi. A sostegno di un collegamento con l’attività venatori, possono essere evidenziati il numero prevalente di animali idonei alla caccia, le figure con ferite o armi sul corpo, i segni interpretati come trappole. Espressioni di una simbologia più articolata e complessa sono le immagini di animali ibridi o quelle antropo-teriomorfe interpretate come sciamani, le impronte di mani considerate simbolo di possesso, le tracce di cerimonie rituali, l’ambiente stesso della grotta, dove le figure sono per lo più nei luoghi meno accessibili.
L’ipotesi di predominati pratiche utilitaristiche connesse all’attività venatoria è stata in parte contraddetta dall’analisi dei resti faunistici rinvenuti in alcune grotte.
L’interpretazione magico-propiziatoria è stata posta in discussione da alcuni autori come A.Gourhan che, identificando un’intenzionale disposizione topografica delle rappresentazioni all’interno delle grotte, ha considerato tali ambienti come santuari organizzati, articolati in zone diverso con composizioni rispondenti a codificate sintassi: i simboli di due principi fondamentali, quello maschile (cavallo) e quello femminile (bisonte). Le varie teorie formulate nel tempo sembrano però inefficaci per cogliere la reali intenzioni che regolavano la realizzazione delle varie figurazioni di immediata comprensione per le comunità paleolitiche, ma oggi difficilmente identificabili. Unico dato globalmente sicuro appare la funzione della grotta quale luogo privilegiato dagli antichi artefici per esprimere le loro concezioni simboliche connesse alla sfera sacrale.
Con uno stile naturalistico ancor più irrigidito sono rese le figure zoomorfe di Grotta Romanelli, associate ad assai più numerosi motivi geometrici e schematici.
Passando alla produzione parietale, all’Epigravettiano Antico è riferibile un frammento forse distaccatosi dalla volta di Grotta Paglicci, conservante la parte posteriore di un cavallo; la forma degli zoccoli richiama quelli di Lascaux. Nella stessa grotta altre figure di equidi sono dipinte in una piccola sala interna insieme a impronte di mani. Costituisce la più alta espressone dello stile veristico mediterraneo la possente figura di un toro nel deposito del Riparo del Romito.
Con lo stile irrigidito del bue sul blocco calcareo del tardo Epigravettiano sopra citato, contrasta nettamente quello delle figure parietali della Grotta di Cala dei Genovesi, probabilmente da riferire a un momento precedente: meritano rilievo un cerbiatto che volge la testa, un toro in corsa di cui sono ben resi il movimento e il senso di potenza, e tre antropomorfi con strani copricapi o maschere, di cui uno colla barba. Altro importante complesso è quello delle Grotta dell’Addaura, dove alcuni animali sono riprodotti in posizione marginale rispetto a un gruppo di antropomorfi componente una scena originale, interpretata come l’esecuzione capitale mediante strangolamento o l’esercizio di acrobati davanti a spettatori.
In merito al significato della documentazione passata in rassegna, diverse ipotesi sono state formulate per interpretare un fenomeno che a oggi rimane impenetrabile. I due principali temi sono: quello della fecondità espresso dalle “Veneri” e da figure di coppie di animali e l’altro incentrato sulla raffigurazione di specie faunistiche talora anche feroci e pericolose per l’uomo e per la caccia; tra i soggetti raffigurati e quelli reali sarebbe intercorso un rapporto di identificazione che avrebbe consentito di agire sui secondi attraverso i primi. A sostegno di un collegamento con l’attività venatori, possono essere evidenziati il numero prevalente di animali idonei alla caccia, le figure con ferite o armi sul corpo, i segni interpretati come trappole. Espressioni di una simbologia più articolata e complessa sono le immagini di animali ibridi o quelle antropo-teriomorfe interpretate come sciamani, le impronte di mani considerate simbolo di possesso, le tracce di cerimonie rituali, l’ambiente stesso della grotta, dove le figure sono per lo più nei luoghi meno accessibili.
L’ipotesi di predominati pratiche utilitaristiche connesse all’attività venatoria è stata in parte contraddetta dall’analisi dei resti faunistici rinvenuti in alcune grotte.
L’interpretazione magico-propiziatoria è stata posta in discussione da alcuni autori come A.Gourhan che, identificando un’intenzionale disposizione topografica delle rappresentazioni all’interno delle grotte, ha considerato tali ambienti come santuari organizzati, articolati in zone diverso con composizioni rispondenti a codificate sintassi: i simboli di due principi fondamentali, quello maschile (cavallo) e quello femminile (bisonte). Le varie teorie formulate nel tempo sembrano però inefficaci per cogliere la reali intenzioni che regolavano la realizzazione delle varie figurazioni di immediata comprensione per le comunità paleolitiche, ma oggi difficilmente identificabili. Unico dato globalmente sicuro appare la funzione della grotta quale luogo privilegiato dagli antichi artefici per esprimere le loro concezioni simboliche connesse alla sfera sacrale.
IL MESOLITICO
INQUADRAMENTO TECNOLOGICO
Il termine “Mesolitico” si affermò agli inizi del secolo scorso per indicare i complessi compresi tra il Maddaleniano e il Neolitico, incluso l’Aziliano rientrante nel Paleolitico Superiore. Al Postglaciale sono attribuiti il Sauveterriano e il Castelnoviano delle regioni mediterranee sviluppatisi dal Preboreale attraverso il Boreale fino agli inizi dell’Atlantico, venendo dunque il Mesolitico a costituire il primo periodo dell’Olocene (OIS1) in cui gli ultimi gruppi di cacciatori-raccoglitori adattarono il loro modo di vita alle nuove condizioni ambientali. Iniziato intorno a 10ka BP (11533-11268 cal. BP), la durata del Mesolitico è di circa 3500 anni, ma varia in rapporto all’introduzione delle radicali innovazioni che caratterizzano il Neolitico; il processo della cosiddetta “neolitizzazione” è un fenomeno complesso che si sviluppa in tempi differenti nelle diverse aree.
Il termine “Mesolitico” si affermò agli inizi del secolo scorso per indicare i complessi compresi tra il Maddaleniano e il Neolitico, incluso l’Aziliano rientrante nel Paleolitico Superiore. Al Postglaciale sono attribuiti il Sauveterriano e il Castelnoviano delle regioni mediterranee sviluppatisi dal Preboreale attraverso il Boreale fino agli inizi dell’Atlantico, venendo dunque il Mesolitico a costituire il primo periodo dell’Olocene (OIS1) in cui gli ultimi gruppi di cacciatori-raccoglitori adattarono il loro modo di vita alle nuove condizioni ambientali. Iniziato intorno a 10ka BP (11533-11268 cal. BP), la durata del Mesolitico è di circa 3500 anni, ma varia in rapporto all’introduzione delle radicali innovazioni che caratterizzano il Neolitico; il processo della cosiddetta “neolitizzazione” è un fenomeno complesso che si sviluppa in tempi differenti nelle diverse aree.
I PRINCIPALI COMPLESSI INDUSTRIALI
Le industrie litiche del Mesolitico sono caratterizzate da armature microlitiche di forma geometrica che venivano fissate in serie su supporti di legno o di osso usati come armi o arponi.
Vengono distinte 2aree: una meridionale, dove si sviluppano il Sauveterriano e il Castelnoviano, estesa soprattutto nelle regioni mediterranee; ed una settentrionale, dove si diffondono i complessi di Beuron-Coincy e di Montalbanì, che comprende l’Europa occidentale.
Il Sauveterriano, di età preboreale e boreale, pare derivare dai complessi più recenti del locale Paleolitico Superiore. Netta è la differenziazione tra le armature e gli altri strumenti: in questi ultimi sono compresi bulini su scheggia, grattatoi corti; nelle armature, sempre fabbricate con la tecnica del micro bulino (pag 36), dominano i segmenti e le punte e due dorsi.
Il Castelnoviano, di età atlantica, si distingue per una rinnovata produzione litica caratterizzata da supporti laminari regolari a sezione triangolare o trapezoidale appiattita (micro bulino).
Nel bacino dell’Adige sono attestati rapporti col versante settentrionale delle Alpi dalla presenza di manufatti in corno di cervo e arponi.
Le industrie litiche del Mesolitico sono caratterizzate da armature microlitiche di forma geometrica che venivano fissate in serie su supporti di legno o di osso usati come armi o arponi.
Vengono distinte 2aree: una meridionale, dove si sviluppano il Sauveterriano e il Castelnoviano, estesa soprattutto nelle regioni mediterranee; ed una settentrionale, dove si diffondono i complessi di Beuron-Coincy e di Montalbanì, che comprende l’Europa occidentale.
Il Sauveterriano, di età preboreale e boreale, pare derivare dai complessi più recenti del locale Paleolitico Superiore. Netta è la differenziazione tra le armature e gli altri strumenti: in questi ultimi sono compresi bulini su scheggia, grattatoi corti; nelle armature, sempre fabbricate con la tecnica del micro bulino (pag 36), dominano i segmenti e le punte e due dorsi.
Il Castelnoviano, di età atlantica, si distingue per una rinnovata produzione litica caratterizzata da supporti laminari regolari a sezione triangolare o trapezoidale appiattita (micro bulino).
Nel bacino dell’Adige sono attestati rapporti col versante settentrionale delle Alpi dalla presenza di manufatti in corno di cervo e arponi.
CLIMA E AMBIENTE, ECONOMIA E INSEDIAMENTI
Le modificazioni ambientali avvenute in Europa nel periodo in esame sono notevoli: l’innlandsis ormai limitata ad una parte della Scandinavia e l’arretramento dei ghiacciai alpini aprono nuovi spazi alla penetrazione dei gruppi umani. Nel Preboreale e nel Boreale si verifica un progressivo inaridimento del clima. Nell’Europa settentrionale la tundra regredisce e si espandono verso nord le foreste di pino e betulla, più a sud le foreste miste; nell’area occidentale atlantica durante il Preboreale si sviluppano foreste a pino, nel Boreale il nocciolo e la quercia; l’aridità del clima determina invece un ambiente prevalentemente steppico nelle regioni mediterranee. Un’espansione della copertura boschiva a latifoglie è favorita dal caldo umido che viene a instaurarsi nell’Atlantico.
In tutta Europa la caccia ai mammiferi di grande e media taglia rimane l’attività prevalente; nei resti faunistici sono rappresentati anche piccoli mammiferi. Diffuso appare l’uso dell’arco, attestato da rinvenimenti nell’Europa centro-settentrionale di archi interi o frammentari e di frecce formate da un’asta di legno con cocca alla base, punta ed uno o più denti laterali costituiti da armature. Archi di notevoli dimensioni sono raffigurati nelle pitture parietali spagnole.
La pesca era ampiamente praticata; la raccolta dei molluschi è attestata in numerosi siti costieri dai cosiddetti “chiocciolai”, cumuli di conchiglie di molluschi marini commestibili.
In Sicilia nella Grotta dell’Uzzo risulta documentata la pesca di specie di grande taglia che vivono nei fondali rocciosi (apnea), quali cernia, dentice, orata, murena. Una differenziazione stagionale di attività è stata rilevata nel bacino dell’Adige: in inverno e primavera i gruppi mesolitici risiedevano nei siti di fondovalle; in estate e autunno si spostavano sulla montagna a cacciare.
Gli abitati dell’Europa centro-settentrionale erano impiantati presso laghi o fiumi su suoli sabbiosi; in ambienti torbosi si sono conservati pavimenti e piattaforme di legno. Nelle regioni meridionali sono state rinvenuti ripari sotto roccia come nel caso di Riparo di Rodumagnano 3°.
Le modificazioni ambientali avvenute in Europa nel periodo in esame sono notevoli: l’innlandsis ormai limitata ad una parte della Scandinavia e l’arretramento dei ghiacciai alpini aprono nuovi spazi alla penetrazione dei gruppi umani. Nel Preboreale e nel Boreale si verifica un progressivo inaridimento del clima. Nell’Europa settentrionale la tundra regredisce e si espandono verso nord le foreste di pino e betulla, più a sud le foreste miste; nell’area occidentale atlantica durante il Preboreale si sviluppano foreste a pino, nel Boreale il nocciolo e la quercia; l’aridità del clima determina invece un ambiente prevalentemente steppico nelle regioni mediterranee. Un’espansione della copertura boschiva a latifoglie è favorita dal caldo umido che viene a instaurarsi nell’Atlantico.
In tutta Europa la caccia ai mammiferi di grande e media taglia rimane l’attività prevalente; nei resti faunistici sono rappresentati anche piccoli mammiferi. Diffuso appare l’uso dell’arco, attestato da rinvenimenti nell’Europa centro-settentrionale di archi interi o frammentari e di frecce formate da un’asta di legno con cocca alla base, punta ed uno o più denti laterali costituiti da armature. Archi di notevoli dimensioni sono raffigurati nelle pitture parietali spagnole.
La pesca era ampiamente praticata; la raccolta dei molluschi è attestata in numerosi siti costieri dai cosiddetti “chiocciolai”, cumuli di conchiglie di molluschi marini commestibili.
In Sicilia nella Grotta dell’Uzzo risulta documentata la pesca di specie di grande taglia che vivono nei fondali rocciosi (apnea), quali cernia, dentice, orata, murena. Una differenziazione stagionale di attività è stata rilevata nel bacino dell’Adige: in inverno e primavera i gruppi mesolitici risiedevano nei siti di fondovalle; in estate e autunno si spostavano sulla montagna a cacciare.
Gli abitati dell’Europa centro-settentrionale erano impiantati presso laghi o fiumi su suoli sabbiosi; in ambienti torbosi si sono conservati pavimenti e piattaforme di legno. Nelle regioni meridionali sono state rinvenuti ripari sotto roccia come nel caso di Riparo di Rodumagnano 3°.
SEPOLTURE
Le sepolture sono isolate o riunite in una sorta di piccole necropoli. I corpi sono deposti in fosse in posizione rattratta o seduta, talora circondati da corna di cervo o lastre di pietra anche poste sopra il cadavere.
In Italia sono state rinvenute soltanto in Sicilia e nell’Italia settentrionale (al centro il Mesolitico non ha fatto in tempo a svilupparsi). Nel Riparo di Vatte di Zambana, ad una fase terminale del Sauveterriano è riferibile la sepoltura di una donna di 50anni deposta a ridosso di una rientranza della parete rocciosa, aveva il capo poggiato su una sporgenza della parete con tracce d’ocra. Una donna di 30anni rinvenuta a Borgonovo di Mezzocorona, anch’essa a ridosso di una parete rocciosa e priva di corredo. Mondeval de Sora è stato rinvenuto un maschio adulto, con tracce d’ocra in prossimità di una mano ed era accompagnato da 61 oggetti; la collocazione della maggior parte di essi in tre gruppi lungo il fianco sinistro dello scheletro lascia supporre che fossero posti in contenitori di materiale deperibile.
In Sicilia nella Grotta dell’Uzzo sono venute in luce dieci sepolture in fosse di varia forma, tra cui due bisome; varia è la pozione degli scheletri, condizionata dalle dimensioni della fossa (li schiacciavano dentro a buchi naturali della roccia).
Le sepolture sono isolate o riunite in una sorta di piccole necropoli. I corpi sono deposti in fosse in posizione rattratta o seduta, talora circondati da corna di cervo o lastre di pietra anche poste sopra il cadavere.
In Italia sono state rinvenute soltanto in Sicilia e nell’Italia settentrionale (al centro il Mesolitico non ha fatto in tempo a svilupparsi). Nel Riparo di Vatte di Zambana, ad una fase terminale del Sauveterriano è riferibile la sepoltura di una donna di 50anni deposta a ridosso di una rientranza della parete rocciosa, aveva il capo poggiato su una sporgenza della parete con tracce d’ocra. Una donna di 30anni rinvenuta a Borgonovo di Mezzocorona, anch’essa a ridosso di una parete rocciosa e priva di corredo. Mondeval de Sora è stato rinvenuto un maschio adulto, con tracce d’ocra in prossimità di una mano ed era accompagnato da 61 oggetti; la collocazione della maggior parte di essi in tre gruppi lungo il fianco sinistro dello scheletro lascia supporre che fossero posti in contenitori di materiale deperibile.
In Sicilia nella Grotta dell’Uzzo sono venute in luce dieci sepolture in fosse di varia forma, tra cui due bisome; varia è la pozione degli scheletri, condizionata dalle dimensioni della fossa (li schiacciavano dentro a buchi naturali della roccia).
PRODUZIONE FIGURATIVA
La documentazione figurativa del Mesolitico è assai più limitata rispetto a quella paleolitica. Nell’ambito della produzione mobiliare, di particolare rilievo sono alcuni oggetti rinvenuti nel Riparo Gaban (TN): un frammento di corno di cervo con un’immagine femminile in stile naturalistico scolpita in bassorilievo che per alcuni caratteri, quale l’accentuazione dei seni e del ventre, richiama le “Veneri” paleolitiche, un cilindro in osso e una spatola di corno di cervo con motivi geometrici ricollegabili ai moduli decorativi dell’Epigravettiano Finale.
Relativamente alla produzione parietale, viene comunemente riferita al Mesolitico la cosiddetta “arte levantina”, lungo la costa orientale spagnola. Si differenzia dalle opere paleolitiche sia per il contenuto (con figure animali ed umane associate in composizioni, contraddistinte da un marcato dinamismo), sia per la frequente stilizzazione (soprattutto delle immagini antropomorfe), sia per la tecnica monocroma a tinta piena in rosso. Predominano le scene di caccia e combattimento, in cui le figure umane sono riprodotte di corsa, con le gambe divaricate. Nella Cueva de la Araña, peculiare è la scena della raccolta del miele ad opera di un uomo arrampicato su una lunga triplice corda mentre le api gli ronzano attorno.
La documentazione figurativa del Mesolitico è assai più limitata rispetto a quella paleolitica. Nell’ambito della produzione mobiliare, di particolare rilievo sono alcuni oggetti rinvenuti nel Riparo Gaban (TN): un frammento di corno di cervo con un’immagine femminile in stile naturalistico scolpita in bassorilievo che per alcuni caratteri, quale l’accentuazione dei seni e del ventre, richiama le “Veneri” paleolitiche, un cilindro in osso e una spatola di corno di cervo con motivi geometrici ricollegabili ai moduli decorativi dell’Epigravettiano Finale.
Relativamente alla produzione parietale, viene comunemente riferita al Mesolitico la cosiddetta “arte levantina”, lungo la costa orientale spagnola. Si differenzia dalle opere paleolitiche sia per il contenuto (con figure animali ed umane associate in composizioni, contraddistinte da un marcato dinamismo), sia per la frequente stilizzazione (soprattutto delle immagini antropomorfe), sia per la tecnica monocroma a tinta piena in rosso. Predominano le scene di caccia e combattimento, in cui le figure umane sono riprodotte di corsa, con le gambe divaricate. Nella Cueva de la Araña, peculiare è la scena della raccolta del miele ad opera di un uomo arrampicato su una lunga triplice corda mentre le api gli ronzano attorno.
IL NEOLITICO
LA NEOLITIZZAZIONE
Il termine “Neolitico” fu introdotto nel 1865 (prima di “Mesolitico”) per indicare il periodo successivo al Paleolitico caratterizzato dalla comparsa di strumenti in pietra levigata e della ceramica.
In tempi più recenti lo studio dei resti faunistici e vegetali portò ad evidenziare l’introduzione dell’economia produttiva come principale innovazione di questa età. Al nuovo rapporta tra l’uomo e l’ambiente si accompagnano profondi cambiamenti di carattere non solo tecnologico, ma anche sociale ed ideologico.
Le testimonianze più antiche dell’economia produttiva sono localizzate nel Vicino Oriente, dove crescevano spontaneamente quei cereale che vennero poi coltivati e vivevano specie animali che furono domesticate e allevate attraverso graduali forme di selezione e controllo, in un periodo compreso tra 9000 e 6000 cal. BC.
Le regioni che attualmente risultano più coinvolte sono il corso medio dell’Eufrate in Siria e l’Anatolia sud-orientale (secondaria pare la Palestina). Da quest’area il nuovo modello economico si diffuse in tutta Europa per via mare (coste Mediterraneo) e via terra (Turchia e Balcani). I più recenti studi paleoambientali e archeozoologici sono venuti a contraddire le tesi di domesticazioni autoctone nel Mediterraneo occidentale (Spagna) formulate negli anni ’70.
Passando a una rapida sintesi delle principali innovazioni relativamente all’economia produttiva di sussistenza, l’agricoltura nelle zone di foresta richiese il disboscamento, spesso realizzato con incendi. La mietitura veniva fatta con falcetti costituiti da un manico di legno/osso in cui erano fissate in serie lame in selce. Le più antiche piante coltivate sono un gruppo ristretto di cereali, comprendente l’orzo, il farro, il frumento tenero e duro, alcuni legumi e poche altre piante quali il lino e il papavero da oppio.
In merito alle specie animali, la prima ad essere domesticata è il cane (forse già nel Paleolitico). Precoce è stata la domesticazione della pecora, avvenuta nell’Asia sud-occidentale, discendente dalla specie selvatica (ovis orientalis) che vive in Anatolia, Tibet e Mongolia. Segue quella della capra, le cui forme allevate nel Vicino Oriente dovevano esser molto simili alla specie selvatica (capra aegagrus). Per quanto riguarda il maiale, l’origine del cinghiale è da ricercare in più aree; le differenze tra selvatici e domestici sono poco evidenti e rendono difficile la distinzione. I primi bovini derivati dall’uro sono attestati in Anatolia e poi in Grecia. La caccia e la pesca continuarono ad essere praticate come risorse integrative, con diversa incidenza nei vari ambienti. Ben attestato è lo sfruttamenti di miniere di selce; al primo Neolitico risale la miniera della Defensòla in Puglia. Fenomeni di circolazione e scambio sono documentati per diversi tipi di materie prime e oggetti: specialmente diffusa l’ossidiana, i cui giacimenti sono solo in Anatolia, Europa centrale e Mediterraneo. L’introduzione dell’economia produttiva comportò una maggiore sedentarietà in insediamenti prevalentemente all’aperto; le capanne erano fatte con mattoni di argilla o travature e graticciati intonacati ed avevano focolari. L’ipotesi di un pacifico mondo di agricoltori, rimasta per decenni plausibile, è smentita da alcuni ritrovamenti tra cui quello del “massacro” di Talheim in Germania sud-occidentale, dove è venuta in luce una fossa comune, datata a 5000 cal. BC, contenente resti di 34individui, verosimilmente l’intera comunità di un piccolo villaggio, molti dei quali con ferite provocate da armi.
Pressoché ovunque è presente la ceramica. L’industria litica comprende strumenti ottenuti con la scheggiatura e la levigatura, quest’ultima impiegata per oggetti di ornamento ed asce e accette usate per disboscare e lavorare il legno. Scarse sono le tracce di un’attività, certamente praticata, consistente nell’intreccio di prodotti vegetali per ottenere stuoie, reti, panieri. La tessitura è invece ben attestata da pesi da telaio e fusaiole.
I rituali funerari appaiono differenziati nelle varie aree. Frequenti sono le sepolture all’interno degli insediamenti, più raramente riunite in necropoli. Le deposizioni sono in semplice fosse terragne, nell’ambito di una serie di altre più complesse strutture come la tomba a cista (la più piccola struttura dei megaliti). A Çatal Hüyük sono stati identificati specifici luoghi destinati al culto. Compaiono i primi megaliti, monumenti costituiti da grandi blocchi di pietra con destinazione sepolcrale o cultuale.
Vasta risulta la diffusione, specie nell’area balcanica, di statuette prevalente femminili, la cui interpretazione come costante rappresentazione della Dea Madre non è condivisa da alcuni autori che evidenziano personaggi maschili e femminile in atteggiamento di offerta e preghiera (oranti). Sono inoltre diffuse le cosiddette “pintadere”, una sorta di timbri con motivi molto incisi dei quali è stato ipotizzato un uso per tatuaggi o decorazione tessuti.
Il termine “Neolitico” fu introdotto nel 1865 (prima di “Mesolitico”) per indicare il periodo successivo al Paleolitico caratterizzato dalla comparsa di strumenti in pietra levigata e della ceramica.
In tempi più recenti lo studio dei resti faunistici e vegetali portò ad evidenziare l’introduzione dell’economia produttiva come principale innovazione di questa età. Al nuovo rapporta tra l’uomo e l’ambiente si accompagnano profondi cambiamenti di carattere non solo tecnologico, ma anche sociale ed ideologico.
Le testimonianze più antiche dell’economia produttiva sono localizzate nel Vicino Oriente, dove crescevano spontaneamente quei cereale che vennero poi coltivati e vivevano specie animali che furono domesticate e allevate attraverso graduali forme di selezione e controllo, in un periodo compreso tra 9000 e 6000 cal. BC.
Le regioni che attualmente risultano più coinvolte sono il corso medio dell’Eufrate in Siria e l’Anatolia sud-orientale (secondaria pare la Palestina). Da quest’area il nuovo modello economico si diffuse in tutta Europa per via mare (coste Mediterraneo) e via terra (Turchia e Balcani). I più recenti studi paleoambientali e archeozoologici sono venuti a contraddire le tesi di domesticazioni autoctone nel Mediterraneo occidentale (Spagna) formulate negli anni ’70.
Passando a una rapida sintesi delle principali innovazioni relativamente all’economia produttiva di sussistenza, l’agricoltura nelle zone di foresta richiese il disboscamento, spesso realizzato con incendi. La mietitura veniva fatta con falcetti costituiti da un manico di legno/osso in cui erano fissate in serie lame in selce. Le più antiche piante coltivate sono un gruppo ristretto di cereali, comprendente l’orzo, il farro, il frumento tenero e duro, alcuni legumi e poche altre piante quali il lino e il papavero da oppio.
In merito alle specie animali, la prima ad essere domesticata è il cane (forse già nel Paleolitico). Precoce è stata la domesticazione della pecora, avvenuta nell’Asia sud-occidentale, discendente dalla specie selvatica (ovis orientalis) che vive in Anatolia, Tibet e Mongolia. Segue quella della capra, le cui forme allevate nel Vicino Oriente dovevano esser molto simili alla specie selvatica (capra aegagrus). Per quanto riguarda il maiale, l’origine del cinghiale è da ricercare in più aree; le differenze tra selvatici e domestici sono poco evidenti e rendono difficile la distinzione. I primi bovini derivati dall’uro sono attestati in Anatolia e poi in Grecia. La caccia e la pesca continuarono ad essere praticate come risorse integrative, con diversa incidenza nei vari ambienti. Ben attestato è lo sfruttamenti di miniere di selce; al primo Neolitico risale la miniera della Defensòla in Puglia. Fenomeni di circolazione e scambio sono documentati per diversi tipi di materie prime e oggetti: specialmente diffusa l’ossidiana, i cui giacimenti sono solo in Anatolia, Europa centrale e Mediterraneo. L’introduzione dell’economia produttiva comportò una maggiore sedentarietà in insediamenti prevalentemente all’aperto; le capanne erano fatte con mattoni di argilla o travature e graticciati intonacati ed avevano focolari. L’ipotesi di un pacifico mondo di agricoltori, rimasta per decenni plausibile, è smentita da alcuni ritrovamenti tra cui quello del “massacro” di Talheim in Germania sud-occidentale, dove è venuta in luce una fossa comune, datata a 5000 cal. BC, contenente resti di 34individui, verosimilmente l’intera comunità di un piccolo villaggio, molti dei quali con ferite provocate da armi.
Pressoché ovunque è presente la ceramica. L’industria litica comprende strumenti ottenuti con la scheggiatura e la levigatura, quest’ultima impiegata per oggetti di ornamento ed asce e accette usate per disboscare e lavorare il legno. Scarse sono le tracce di un’attività, certamente praticata, consistente nell’intreccio di prodotti vegetali per ottenere stuoie, reti, panieri. La tessitura è invece ben attestata da pesi da telaio e fusaiole.
I rituali funerari appaiono differenziati nelle varie aree. Frequenti sono le sepolture all’interno degli insediamenti, più raramente riunite in necropoli. Le deposizioni sono in semplice fosse terragne, nell’ambito di una serie di altre più complesse strutture come la tomba a cista (la più piccola struttura dei megaliti). A Çatal Hüyük sono stati identificati specifici luoghi destinati al culto. Compaiono i primi megaliti, monumenti costituiti da grandi blocchi di pietra con destinazione sepolcrale o cultuale.
Vasta risulta la diffusione, specie nell’area balcanica, di statuette prevalente femminili, la cui interpretazione come costante rappresentazione della Dea Madre non è condivisa da alcuni autori che evidenziano personaggi maschili e femminile in atteggiamento di offerta e preghiera (oranti). Sono inoltre diffuse le cosiddette “pintadere”, una sorta di timbri con motivi molto incisi dei quali è stato ipotizzato un uso per tatuaggi o decorazione tessuti.
IL NEOLITICO NEL VICINO ORIENTE
Il Vicino Oriente si prefigura come un’area di gestazione primaria del fenomeno neolitico: domesticazione di piante e animali, invenzione della ceramica, sviluppo dell’architettura non solo domestica ma anche religiosa.
Nella lunga durata dei processi determinanti il passaggio all’economia produttiva, una fase iniziale può essere identificata nel Natufiano, originatosi nel Levante e compreso tra 12-10ka cal. BC: una già evidente sedentarietà è attestata da abitati e necropoli di comunità dedite alla caccia di gazzelle, ma prevalentemente alla raccolta di cereali selvatici, per la quale disponevano di uno strumentario idoneo costituito da falcetti, macine ne vasi in pietra.
Uno sviluppo decisivo si verifica nel Neolitico Preceramico (PPN), le cui evidenze archeologiche sono venute in luce negli scavi dei tell (colline). Nella prima fase di questo periodo, PPNA, documentata in Siria e Palestina nel 10° millennio cal. BC, è ancora praticata la caccia alla gazzella; nel Khimiano (momento di transizione al Neolitico), notevole importanza riveste la comparsa delle prime statuette femminili.
Nel corso del Neolitico Preceramico B (PPNB), in Sinai e Palestina durante il 9°millennio cal. BC le fasi di sperimentazione si concludono nella vera e propria domesticazione delle prime specie animali e vegetali.
Gerico già nella fase A era protetta da un fossato scavato nella roccia e da un muro difensivo di pietre con una grande torre; un culto degli antenati è stato ipotizzato sulla base del rinvenimento di molti crani umani, ricoperti nella fase B da una maschera di argilla con conchiglie inserite nella cavità orbitali.
Un altro insediamento è Khirokitìa a Cipro, caratterizzato da abitazioni a pianta circolare con uno zoccolo di pietra intonacato su cui si impostava una cupola di mattoni di argilla; all’interno, oltre a frequenti soppalchi retti da 1-2 pilastri, erano situati un focolare e buche per la conservazione di derrate alimentari.
La ceramica p l’ultima innovazione tecnologica del Neolitico del Vicino Oriente, dove distingue il Neolitico Ceramico (PN). All’8° millennio cal. BC risale la prima produzione inornata; successivamente compaiono decorazioni impresse, incise, plastiche e infine dipinte, sviluppatesi nel corso del 7° e 6° millennio cal. BC.
Particolare rilievo riveste l’abitato di Çatal Hüyük in Anatolia. Si estendeva su un’area di 32ettari, con 5000-7000 individui. Le abitazioni erano costruite con mattoni di fango addossate l’una all’altra; l’accesso era costituito da aperture praticate sui tetti collegati da scale di legno, sui quali gli abitanti dovevano circolare.
I defunti venivano sepolti nelle case, talora in fosse scavate nel pavimento ma più spesso sotto dei banconi che correvano lungo le pareti, interpretati come giacigli dei vivi; le sepolture per ogni ambiente vanno da 2 a 32. I cadaveri erano avvolti in pelli o tessuti e legati con corde; peculiare è il cranio da cui era stato estratto il cervello sostituito con un tessuto (rituale?). il rinvenimento di ossa sconnesse ha indotto a supporre un’esposizione dei corpi al di fuori dell’abitato, dove potevano esser preda di avvoltoi come quelli che si avventano su figure umane prive di testa raffigurati in pitture parietali.
Al culto dovevano essere destinati ambienti con le pareti decorate da altorilievi raffiguranti figure femminili e teste di toro; singolare è la riproduzione di un insediamento e di una montagna con due vette, una delle quali in fase di eruzione vulcanica, probabile rappresentazione della stessa Çatal Hüyük e del monte Hasan Dag. Numerose sono le statuette rinvenute; le immagini femminili sono in piedi, sedute o accovacciate, tra cui una donna nel momento del parto, seduta su una sorta di trono con 2felini sui lati.
In Mesopotamia le facies di Halaf, Hassuna e Samarra, caratterizzate da una ceramica dipinta o incisa, si sviluppano dal 6° al 5° millennio cal. BC in concomitanza con notevoli progressi tecnologici; resti botanici di un nuovo tipo di frumento, orzo e lino attestano l’uso dell’irrigazione artificiale. La ceramica dipinta presenta motivi in rosso, bruno, nero o bianco: la produzione hassuna è contraddistinta da motivi geometrici, associati in quella di Halaf a figure di animali; nella ceramica di Samarra ricorrono raffigurazioni di uomini e animali che all’interno dei vasi formano singolari composizioni, come grandi scorpioni o altri animali con zampe in comune.
Il Vicino Oriente si prefigura come un’area di gestazione primaria del fenomeno neolitico: domesticazione di piante e animali, invenzione della ceramica, sviluppo dell’architettura non solo domestica ma anche religiosa.
Nella lunga durata dei processi determinanti il passaggio all’economia produttiva, una fase iniziale può essere identificata nel Natufiano, originatosi nel Levante e compreso tra 12-10ka cal. BC: una già evidente sedentarietà è attestata da abitati e necropoli di comunità dedite alla caccia di gazzelle, ma prevalentemente alla raccolta di cereali selvatici, per la quale disponevano di uno strumentario idoneo costituito da falcetti, macine ne vasi in pietra.
Uno sviluppo decisivo si verifica nel Neolitico Preceramico (PPN), le cui evidenze archeologiche sono venute in luce negli scavi dei tell (colline). Nella prima fase di questo periodo, PPNA, documentata in Siria e Palestina nel 10° millennio cal. BC, è ancora praticata la caccia alla gazzella; nel Khimiano (momento di transizione al Neolitico), notevole importanza riveste la comparsa delle prime statuette femminili.
Nel corso del Neolitico Preceramico B (PPNB), in Sinai e Palestina durante il 9°millennio cal. BC le fasi di sperimentazione si concludono nella vera e propria domesticazione delle prime specie animali e vegetali.
Gerico già nella fase A era protetta da un fossato scavato nella roccia e da un muro difensivo di pietre con una grande torre; un culto degli antenati è stato ipotizzato sulla base del rinvenimento di molti crani umani, ricoperti nella fase B da una maschera di argilla con conchiglie inserite nella cavità orbitali.
Un altro insediamento è Khirokitìa a Cipro, caratterizzato da abitazioni a pianta circolare con uno zoccolo di pietra intonacato su cui si impostava una cupola di mattoni di argilla; all’interno, oltre a frequenti soppalchi retti da 1-2 pilastri, erano situati un focolare e buche per la conservazione di derrate alimentari.
La ceramica p l’ultima innovazione tecnologica del Neolitico del Vicino Oriente, dove distingue il Neolitico Ceramico (PN). All’8° millennio cal. BC risale la prima produzione inornata; successivamente compaiono decorazioni impresse, incise, plastiche e infine dipinte, sviluppatesi nel corso del 7° e 6° millennio cal. BC.
Particolare rilievo riveste l’abitato di Çatal Hüyük in Anatolia. Si estendeva su un’area di 32ettari, con 5000-7000 individui. Le abitazioni erano costruite con mattoni di fango addossate l’una all’altra; l’accesso era costituito da aperture praticate sui tetti collegati da scale di legno, sui quali gli abitanti dovevano circolare.
I defunti venivano sepolti nelle case, talora in fosse scavate nel pavimento ma più spesso sotto dei banconi che correvano lungo le pareti, interpretati come giacigli dei vivi; le sepolture per ogni ambiente vanno da 2 a 32. I cadaveri erano avvolti in pelli o tessuti e legati con corde; peculiare è il cranio da cui era stato estratto il cervello sostituito con un tessuto (rituale?). il rinvenimento di ossa sconnesse ha indotto a supporre un’esposizione dei corpi al di fuori dell’abitato, dove potevano esser preda di avvoltoi come quelli che si avventano su figure umane prive di testa raffigurati in pitture parietali.
Al culto dovevano essere destinati ambienti con le pareti decorate da altorilievi raffiguranti figure femminili e teste di toro; singolare è la riproduzione di un insediamento e di una montagna con due vette, una delle quali in fase di eruzione vulcanica, probabile rappresentazione della stessa Çatal Hüyük e del monte Hasan Dag. Numerose sono le statuette rinvenute; le immagini femminili sono in piedi, sedute o accovacciate, tra cui una donna nel momento del parto, seduta su una sorta di trono con 2felini sui lati.
In Mesopotamia le facies di Halaf, Hassuna e Samarra, caratterizzate da una ceramica dipinta o incisa, si sviluppano dal 6° al 5° millennio cal. BC in concomitanza con notevoli progressi tecnologici; resti botanici di un nuovo tipo di frumento, orzo e lino attestano l’uso dell’irrigazione artificiale. La ceramica dipinta presenta motivi in rosso, bruno, nero o bianco: la produzione hassuna è contraddistinta da motivi geometrici, associati in quella di Halaf a figure di animali; nella ceramica di Samarra ricorrono raffigurazioni di uomini e animali che all’interno dei vasi formano singolari composizioni, come grandi scorpioni o altri animali con zampe in comune.
IL NEOLITICO IN EUROPA
Nel processo di neolitizzazione dell’Europa si possono distinguere vaste aree culturali: quella egea e balcanica, l’ambiente danubiano, l’ampia zona in cui si sviluppa la Ceramica Impressa adriatica e l’altra ancor più vasta in cui si diffonde il Cardiale (cardium = conchiglia marina).
Le date più antiche sono quelle del Vicino Oriente, dove durante il 9°millennio cal. BC nel Neolitico preceramico (PPN) è già documentata la domesticazione animale e vegetale, precocemente trasmessa a Cipro e decisamente affermatasi nel PPNB medio (8°millennio cal. BC). Più recente è la neolitizzazione dell’Egeo avvenuta nella prima metà del 7°millennio, nella cui seconda metà si verifica la diffusione del fenomeno verso l’area balcanica continentale, dove in Ungheria e Slovacchia il sistema neolitico mediterraneo, intorno a 5600-5700 cal. BC, viene ad adattarsi al contesto ecologico dell’Europa temperata, dando origine al complesso della Ceramica Lineare che con velocità si espande lungo il corso del Danubio. Rapida come quest’ultima diffusione continentale è anche quella marittima dei complessi della Ceramica Impressa, verificatasi tra 6100-5400 cal. BC.
Iniziando dall’area orientale, oggetto di discussione è stata l’ipotesi di un’origine autonoma del Neolitico prospettata per alcuni isolati rinvenimenti soprattutto nelle regioni egee e balcaniche. Una soluzione al problema è stata data dall’analisi del DNA antico, che ha evidenziato una sostanziale identità dei geni tra le comunità neolitiche dell’Europa sud-orientale e del Vicino Oriente; tali evidenze dimostrano una neolitizzazione avvenuta a seguito dell’arrivo di gruppi umani dalle coste del Levante e dell’Anatolia.
In Grecia l’avvento del Neolitico nel 7°millennio cal. BC è dunque attualmente considerato un fenomeno intrusivo; anche nel caso della Grotta Franchthi nel Peloponneso, con una serie stratigrafica dal Paleolitico Superiore al Neolitico Medio in cui erano stati rilevati indizi di una transizione locale verso l’economia produttiva, è stata appurata un’introduzione dall’esterno delle specie vegetali domestiche. Sempre in Grecia considerare la contrapposizione tra la ridotta quantità di siti mesolitici e quella elevata dei siti neolitici, indicativa di una veloce ed estesa espansione delle varie innovazioni neolitiche.
In base a tali considerazioni, oggi si pensa a un’immigrazione via mare di più gruppi umani stanziati in pochi siti, molto distanti l’uno dall’altro nella fase definita Neolitico Iniziale o Preceramico, compresa tra 7000-6500 cal. BC; in questa fase sono documentati i vari elementi innovativi neolitici, con la probabile eccezione della ceramica che induce a un collegamento con il PPNB e una probabile provenienza dal Levante dei primi immigrati. Soltanto nella seconda metà del 7°millennio cal. BC la Grecia settentrionale appare completamente colonizzata ad opera di gruppi verosimilmente originari dell’Anatolia, arrivati via terra; compare per prima la ceramica monocroma, seguita da quella dipinta a bande rosse nella fase denominata Protosesklo e poi da ceramica impressa nell’ultima fase del Neolitico Antico detta Pressesklo.
Nel sito di Lepenski Vir sul Danubio (Serbia), anziché in concomitanza con la comparsa dell’economia produttiva nel più tardo periodo di occupazione, la ceramica è documentata fin dalla prima fase d’impianto di peculiari strutture trapezoidali contenenti focolari e spesso sepolture, oltre ad originali sculture antropomorfe in pietra con occhi rotondi e bocca simile a quella di un pesce, forse divinità delle acque.
In Grecia al Neolitico Medio è riferita la facies di Sesklo, sviluppatasi tra 6° e 5°millennio cal. BC, caratterizzata da una ceramica dipinta in rosso su fondo chiaro. L’abitato eponimo raggiunse, in Tessaglia, dimensioni di una piccola città. La distruzione con incendi di questo ed altri insediamenti segna il passaggio al Tardo Neolitico in cui si sviluppa la facies di Dimini, contraddistinta da ceramica tricromia e da abitati fortificati come quello del sito eponimo, ubicato sulla sommità di una collina.
Nell’area continentale dei Balcani e in Pannonia la tradizione del Neolitico Antico durò fino allo sviluppo, tra 5°-4°millennio cal. BC, di varie facies distinte in base al tipo di ceramica.
Ampia diffusione in tutta l’area balcanica ebbero le statuette antropomorfe sia stilizzate che in stile più naturalistico, spesso sedute; sono stati inoltre trovati vasi antropomorfi e zoomorfi.
La costa adriatica rientra nella diffusione della cosiddetta Ceramica Impressa adriatica.
Al Neolitico Medio è riferita la facies di Dànilo, caratterizzata da una ceramica con elaborati motivi incisi e dipinti che perdurano, pur in realizzazioni diversificate, nella facies Hvar del Neolitico Recente.
Il processo di neolitizzazione dell’Europa Centrale si verifica nell’ambito del complesso detto della Ceramica Lineare. Nell’economia di sussistenza un ruolo rilevante ebbe l’allevamento, soprattutto di bovini; all’ipotesi di una agricoltura itinerante, è stata collegata la rapida espansione e omogeneità tra le evidenze delle varie regioni. Gli insediamenti erano generalmente impaniati lungo corsi d’acqua, talora delimitati da palizzate o fossati; le abitazioni, caratterizzate dalle grande dimensioni, avevano pianta rettangolare e struttura portante costituita da file di pali che sostenevano il tetto. La ceramica è caratterizzata dalla decorazione incisa con motivi regionalmente e cronologicamente diversificati (es: “a note musicali”; ma domina la linea).
Si diffondono i complessi della Ceramica Impressa, riconducibili a due grandi insiemi: quello della Ceramica Impressa adriatica, esteso dall’Adriatico attraverso l’Italia meridionale fino alla Sicilia, e quello del Cardiale diffuso dall’Italia tirrenica al Portogallo.
Nella Francia meridionale i più antichi aspetti, compresi tra 5800-5600 cal. BC, trovano collegamenti in quelli della Ceramica Impressa italiana, lasciando pensare a fenomeno di colonizzazione. Poco dopo si sviluppa il cosiddetto Cardiale franco-iberico
Alla tradizione della Ceramica Impressa segue lo sviluppo della facies di Chassey, diffusa anche in alcune regioni italiane e suddivisa in due fasi: Chassey A, caratterizzata da ceramica con motivi geometrici graffiti; Chassey B, contraddistinta da tipiche prese caniculate verticali in coppia/multiple dette “anse a flauto Pan”. Nella penisola iberica l’agricoltura appare pienamente sviluppata e gli ovicaprini, come in Francia, predominano nell’allevamento (Europa continentale = bovini). La ceramica appare come il prodotto di una tecnica ben sviluppata con una ricca decorazione soprattutto cardiale organizzata in elaborati motivi geometrici e simbolici, come figure umane con braccia alzate e mani aperte, in posizioni oranti.
Nel processo di neolitizzazione dell’Europa si possono distinguere vaste aree culturali: quella egea e balcanica, l’ambiente danubiano, l’ampia zona in cui si sviluppa la Ceramica Impressa adriatica e l’altra ancor più vasta in cui si diffonde il Cardiale (cardium = conchiglia marina).
Le date più antiche sono quelle del Vicino Oriente, dove durante il 9°millennio cal. BC nel Neolitico preceramico (PPN) è già documentata la domesticazione animale e vegetale, precocemente trasmessa a Cipro e decisamente affermatasi nel PPNB medio (8°millennio cal. BC). Più recente è la neolitizzazione dell’Egeo avvenuta nella prima metà del 7°millennio, nella cui seconda metà si verifica la diffusione del fenomeno verso l’area balcanica continentale, dove in Ungheria e Slovacchia il sistema neolitico mediterraneo, intorno a 5600-5700 cal. BC, viene ad adattarsi al contesto ecologico dell’Europa temperata, dando origine al complesso della Ceramica Lineare che con velocità si espande lungo il corso del Danubio. Rapida come quest’ultima diffusione continentale è anche quella marittima dei complessi della Ceramica Impressa, verificatasi tra 6100-5400 cal. BC.
Iniziando dall’area orientale, oggetto di discussione è stata l’ipotesi di un’origine autonoma del Neolitico prospettata per alcuni isolati rinvenimenti soprattutto nelle regioni egee e balcaniche. Una soluzione al problema è stata data dall’analisi del DNA antico, che ha evidenziato una sostanziale identità dei geni tra le comunità neolitiche dell’Europa sud-orientale e del Vicino Oriente; tali evidenze dimostrano una neolitizzazione avvenuta a seguito dell’arrivo di gruppi umani dalle coste del Levante e dell’Anatolia.
In Grecia l’avvento del Neolitico nel 7°millennio cal. BC è dunque attualmente considerato un fenomeno intrusivo; anche nel caso della Grotta Franchthi nel Peloponneso, con una serie stratigrafica dal Paleolitico Superiore al Neolitico Medio in cui erano stati rilevati indizi di una transizione locale verso l’economia produttiva, è stata appurata un’introduzione dall’esterno delle specie vegetali domestiche. Sempre in Grecia considerare la contrapposizione tra la ridotta quantità di siti mesolitici e quella elevata dei siti neolitici, indicativa di una veloce ed estesa espansione delle varie innovazioni neolitiche.
In base a tali considerazioni, oggi si pensa a un’immigrazione via mare di più gruppi umani stanziati in pochi siti, molto distanti l’uno dall’altro nella fase definita Neolitico Iniziale o Preceramico, compresa tra 7000-6500 cal. BC; in questa fase sono documentati i vari elementi innovativi neolitici, con la probabile eccezione della ceramica che induce a un collegamento con il PPNB e una probabile provenienza dal Levante dei primi immigrati. Soltanto nella seconda metà del 7°millennio cal. BC la Grecia settentrionale appare completamente colonizzata ad opera di gruppi verosimilmente originari dell’Anatolia, arrivati via terra; compare per prima la ceramica monocroma, seguita da quella dipinta a bande rosse nella fase denominata Protosesklo e poi da ceramica impressa nell’ultima fase del Neolitico Antico detta Pressesklo.
Nel sito di Lepenski Vir sul Danubio (Serbia), anziché in concomitanza con la comparsa dell’economia produttiva nel più tardo periodo di occupazione, la ceramica è documentata fin dalla prima fase d’impianto di peculiari strutture trapezoidali contenenti focolari e spesso sepolture, oltre ad originali sculture antropomorfe in pietra con occhi rotondi e bocca simile a quella di un pesce, forse divinità delle acque.
In Grecia al Neolitico Medio è riferita la facies di Sesklo, sviluppatasi tra 6° e 5°millennio cal. BC, caratterizzata da una ceramica dipinta in rosso su fondo chiaro. L’abitato eponimo raggiunse, in Tessaglia, dimensioni di una piccola città. La distruzione con incendi di questo ed altri insediamenti segna il passaggio al Tardo Neolitico in cui si sviluppa la facies di Dimini, contraddistinta da ceramica tricromia e da abitati fortificati come quello del sito eponimo, ubicato sulla sommità di una collina.
Nell’area continentale dei Balcani e in Pannonia la tradizione del Neolitico Antico durò fino allo sviluppo, tra 5°-4°millennio cal. BC, di varie facies distinte in base al tipo di ceramica.
Ampia diffusione in tutta l’area balcanica ebbero le statuette antropomorfe sia stilizzate che in stile più naturalistico, spesso sedute; sono stati inoltre trovati vasi antropomorfi e zoomorfi.
La costa adriatica rientra nella diffusione della cosiddetta Ceramica Impressa adriatica.
Al Neolitico Medio è riferita la facies di Dànilo, caratterizzata da una ceramica con elaborati motivi incisi e dipinti che perdurano, pur in realizzazioni diversificate, nella facies Hvar del Neolitico Recente.
Il processo di neolitizzazione dell’Europa Centrale si verifica nell’ambito del complesso detto della Ceramica Lineare. Nell’economia di sussistenza un ruolo rilevante ebbe l’allevamento, soprattutto di bovini; all’ipotesi di una agricoltura itinerante, è stata collegata la rapida espansione e omogeneità tra le evidenze delle varie regioni. Gli insediamenti erano generalmente impaniati lungo corsi d’acqua, talora delimitati da palizzate o fossati; le abitazioni, caratterizzate dalle grande dimensioni, avevano pianta rettangolare e struttura portante costituita da file di pali che sostenevano il tetto. La ceramica è caratterizzata dalla decorazione incisa con motivi regionalmente e cronologicamente diversificati (es: “a note musicali”; ma domina la linea).
Si diffondono i complessi della Ceramica Impressa, riconducibili a due grandi insiemi: quello della Ceramica Impressa adriatica, esteso dall’Adriatico attraverso l’Italia meridionale fino alla Sicilia, e quello del Cardiale diffuso dall’Italia tirrenica al Portogallo.
Nella Francia meridionale i più antichi aspetti, compresi tra 5800-5600 cal. BC, trovano collegamenti in quelli della Ceramica Impressa italiana, lasciando pensare a fenomeno di colonizzazione. Poco dopo si sviluppa il cosiddetto Cardiale franco-iberico
Alla tradizione della Ceramica Impressa segue lo sviluppo della facies di Chassey, diffusa anche in alcune regioni italiane e suddivisa in due fasi: Chassey A, caratterizzata da ceramica con motivi geometrici graffiti; Chassey B, contraddistinta da tipiche prese caniculate verticali in coppia/multiple dette “anse a flauto Pan”. Nella penisola iberica l’agricoltura appare pienamente sviluppata e gli ovicaprini, come in Francia, predominano nell’allevamento (Europa continentale = bovini). La ceramica appare come il prodotto di una tecnica ben sviluppata con una ricca decorazione soprattutto cardiale organizzata in elaborati motivi geometrici e simbolici, come figure umane con braccia alzate e mani aperte, in posizioni oranti.
IL NEOLITICO NELL’ITALIA SETTENTRIONALE
IL NEOLITICO
ANTICO
Il processo di neolitizzazione dell’Italia settentrionale si presenta assai complesso per la varietà ambientale di questo ampio territorio e la sua apertura a molteplici influssi da diverse aree culturali.
Facies della Ceramica Impressa ligure: la datazione di una cariosside di orzo raccolta nel livello più basso del Neolitico Antico (5790-5660 cal. BC) della cava delle Arene Candide è venuta a confermare la pratica generalizzata dell’agricoltura da parte dei primi gruppi neolitici che intorno al 5800 cal. BC raggiunsero via mare l’area ligure-provenzale. La scelta di questo territorio può essere imputabile alla scarsa occupazione di comunità autoctone mesolitiche, ma anche dalla vicinanza agli affioramenti di pietra verde (pietra levigata) e la presenza di molte caverne, di cui è documentato un uso per la stabulazione degli animali domestici.
Nei livelli del Neolitico Antico sono distinguibili due fasi nella produzione ceramica: una caratterizzata da decorazione strumentale, collocabile tra 5800-5400 cal. BC; un’altra contraddistinta dalla comparsa della decorazione cardiale, compresa tra 5400-5100 cal. BC, la cui presenza in molti siti attesta la completa neolitizzazione di tutta la fascia costiera. Nella stessa grotta è stata rinvenuta la sepoltura di un maschio cosparso di ocra rossa (grotte multiuso).
Risalendo verso il Piemonte, nel sito di Alba le più antiche testimonianze del popolamento neolitico, rappresentate da frammenti ceramici, rimandano alla Ceramica Impressa ligure; a queste prime presenze, collocabili nei primi ¾ del 6°millennio cal. BC, segue un’estensione dello sfruttamento del territorio alla vasta pianura alluvionale del Tanaro, verificatasi tra fine del 6° e il primo quarto del 5° millennio. Frammenti di vasi e statuette indicano collegamenti con il gruppo del Vhò.
Le analisi paleobotaniche e archeozoologiche hanno dimostrato un’attività pratica dell’agricoltura e dell’allevamento, come in Liguria e diversamente dai gruppi padano-alpini; nel cuneese sono venuti in luce un fondo di capanna con probabile copertura fatta da tronchi ipostati a fior di terra legati da corde e rivestiti da fascine, ed un pozzo riutilizzato come fossa di scarico.
Il gruppo del Vhò, sviluppatosi tra fine del 6° e gli inizi del 5°millennio cal. BC, risulta esteso a buona parte della Pianura Padana. Compaiono vasi su piede o a collo con prese forate sull’orlo e boccali carenati; nella contigua facies di Fiorano trova analogie l’industria litica su scheggia. Alquanto originali sono alcune statuette femminili in terracotta con testa a calotta, di cui la meglio conservata è bicefala.
La selce utilizzata per l’industria su scheggia è quella “alpina” del Veronese; del tutto sporadica è invece l’ossidiana, che è assai rara anche in altri coevi contesti dell’Italia settentrionale. La circolazione della selce “alpina” e quella dell’ossidiana paiono distinguere nel primo Neolitico l’ambiente settentrionale da quello adriatico,
Con un’origine precoce rispetto alle altre entità territoriali dell’area padano-alpina, tra 5500-4800 cal. BC, la facies di Fiorano appare diffusa su un vasto territorio, dal Veneto attraverso l’Emilia e la Romagna fino alla Toscana. Un ruolo importante da essa svolto nel processo di neolitizzazione dell’Italia settentrionale è comprovato da alcuni suoi tipici elementi importati dagli altri gruppi e, proprio alla sua insorgenza, è imputabile la mancata penetrazione nella Pianura Padana della facies della Ceramica Impressa adriatica.
Relativamente alla produzione artigianale, le forme vascolari più caratteristiche sono boccali carenati, scodelle emisferiche e vasi a colletto quadri ansati, spesso con un tubercolo sulle anse, vasi ad alto collo con 4prese forate sull’orlo; la decorazione consiste in linee incise, di solito a coppia, e in impressioni minute costituite da punti piccoli o più grandi (“chicchi di grano”)o di forma allungata (“foglioline”). In ceramica grossolana sono realizzate olle quadri ansate con cordoni verticali. Il collegamento di questo repertorio con la Ceramica Lineare dell’Europa centrale, consiste in realtà in qualche generica affinità delle decorazioni in una produzione con marcate connotazioni autonome. L’industria litica scheggiata comprende bulini di Ripabianca (Marche), grattatoi frontali, troncature, becchi micro bulini; in quella levigata abbiamo bracciali-anelloni predominanti sulle asce ed accette. In un solo sito è segnalata la presenza di ossidiana.
Tra gli insediamenti merita rilievo quello di Lugo di Romagna, coperto da 14m di depositi alluvionale e eccezionalmente conservato. Impiantato nei pressi di un corso d’acqua, era protetto da una palizzata formata da tronchi di 4m infissi in una canaletta, da una sorta di argine sorretto da elementi di legno e da un piccolo fossato con funzione drenante. All’interno è stata trovata una grande capanna rettangolare distrutta da incendio, con pareti formate da canne rivestite in argilla, tetto a doppio spiovente sorretto da robusti pali, spazio interno suddiviso in 2ambienti: uno con focolare e forno, l’altro destinato alla conservazione e preparazione delle derrate alimentari. Nella trincea di posa della palizzata è stato trovato un vaso rovesciato sopra alla zampa di un cane (rito di fondazione).
Nel Veneto di notevole interesse p il vasto abitato di Lugo di Grezzana che ha portato ad estendere l’areale di diffusione della facies in esame ai Monti Lessini, alla zona cioè di approvvigionamento della selce “alpina” la cui lavorazione è attestata da officine litiche. Questo sito comprova il controllo da parte della comunità di Fiorano della circolazione della selce lessinica e, di conseguenza, un loro ruolo dominante sugli altri gruppi settentrionali. Tra la ceramica merita rilievo un piccolo boccale con un motivo antropomorfo.
Il gruppo dell’Isolino è documentato in pochi siti dell’area prealpina della Lombardia occidentale e del Canton Ticino, datato tra 5200-4600 cal. BC. La produzione ceramica è caratterizzata da boccali e vasi a collo non distinto con motivi geometrici incisi e da vasi si alto piede.
Nel Trentino Alto-Adige, tra la fine del 6° e l’inizio del 5°millennio cal. BC, si sviluppa il gruppo del Gaban, attestato in ripari sotto roccia frequentati in età mesolitica, ad eccezione del sito all’aperto de La Vela a bassa quota; nella valle dell’Isarco i siti sono invece tutti all’aperto. Nei ripari prevale un’economia di caccia e raccolta di tipo mesolitico.
Datazioni effettuate nella torbiera di Isera per livelli con presenza di cereali, ma privi di materiali archeologici, collocano tra 5520 e 5340 cal. BC la comparsa dell’agricoltura.
Passando alla produzione artigianale, le ceramiche e l’industria litica rivelano connessioni con i gruppi del Vhò, dell’Isolino e di Fiorano. Le forme vascolari comprendono vasi a colo alto o più basso e su piede, olle e ollette di varia forma, boccali carenati; i motivi decorativi consistono in grandi triangoli campiti da linee oblique, fasci di linee a zig-zag, bande campite a reticolo, motivi “a note musicali”.
Nell’industria litica strumenti tipici del primo Neolitico padano sono associati a elementi di tradizione mesolitica cui rinviano anche i manufatti in osso e corno, e gli ornamenti ottenuti da conchiglie marine.
Dal Riparo Gaban proviene una consistente produzione figurativa in corno, osso e denti di pietra: una figurina femminile su placca ossea, colorata con ocra rossa, ha le braccia appena abbozzate (limiti del supporto), una capigliatura resa sul dorso da una serie di incisioni, un collare con un pendaglio a semiluna, una cintura, largo ventre sormontato da un motivo alberiforme interpretato come simbolo di rinascita del mondo vegetale ad opera della dea madre. Di notevole interesse è un probabile strumento a fiato ricavato da un femore umano, in cui è rappresentato un volto sovrastante motivi geometrici.
È da ipotizzare che la diffusione del Neolitico nel bacino dell’Adige sia dovuta alla penetrazione di piccole comunità con economia produttiva acquisita, in maniera lenta e graduale, da parte dei gruppi autoctoni ed ormai completamente adottata verso gli inizi del 5°millennio cal. BC.
Nel Friuli le prime presenze neolitiche sono ricondotte a due gruppi denominati dai principali siti oggetto di indagini stratigrafiche: Fagnigola e Sammardenchia; le datazioni radiometriche indicano una lunga durata compresa tra circa 5500-4700 cal. BC. Caratterizzati entrambi da elementi di tipo Fiorano, la produzione ceramica del gruppo di Fagnigola non è adeguatamente identificabile, quella del gruppo di Sammardenchia è contraddistinta dalla presenza di decorazioni, quali motivi dipinti incisi o excisi a spirale, ricollegabili alle facies trans adriatiche di Dànilo e Hvar. A Sammardenchia sono state rinvenute statuine il cui sesso femminile è resi con pochi dettagli in una realizzazione piuttosto sommaria ed alcuni idoletti frammentari decorati con linee incise, ricollegabili a quelli della cosiddetta “ceramica falloide” di Dànilo, interpretati come rappresentazioni connesse al culto della fertilità.
A Fagnigola sono stati messi in luce numerosi pozzetti cilindrici, talora con un rivestimento delle pareti in argilla e probabile primaria funzione di sili. Particolare rilievo meritano un grande pozzo di circa 4m di diametro, usato come cisterna per la raccolta dell’acqua e successivamente anch’esso per lo scarico dei rifiuti. Nel sito di Piancada c’è un ampio canale con abbondanti resti di faune domestiche sul fondo e resti della sepoltura di una bimba.
Nel Carso triestino è documentato il gruppo dei Vasi a Coppa, collocabile tra 5400-4800 cal. BC. Il nome deriva dalla forma vascolare più caratteristica, costituita dal vaso a corpo globulare o ovoidale su piede, scodelle e un tipo di vaso a quattro gambe con probabile destinazione rituale, detto rython.
In Romagna le prime fasi di neolitizzazione appaiono collocabili in una fase avanzata della Ceramica Impressa medio-adriatica; nell’industria litica merita rilievo un’alta percentuale di manufatti in ossidiana di Palamrola e di Lipari che, in contrapposizione ai rari elementi segnalati più a nord, costituisce una consistente presenza segnando nel sito in esame il limite settentrionale adriatico della vasta diffusione di questa materia prima.
Il processo di neolitizzazione dell’Italia settentrionale si presenta assai complesso per la varietà ambientale di questo ampio territorio e la sua apertura a molteplici influssi da diverse aree culturali.
Facies della Ceramica Impressa ligure: la datazione di una cariosside di orzo raccolta nel livello più basso del Neolitico Antico (5790-5660 cal. BC) della cava delle Arene Candide è venuta a confermare la pratica generalizzata dell’agricoltura da parte dei primi gruppi neolitici che intorno al 5800 cal. BC raggiunsero via mare l’area ligure-provenzale. La scelta di questo territorio può essere imputabile alla scarsa occupazione di comunità autoctone mesolitiche, ma anche dalla vicinanza agli affioramenti di pietra verde (pietra levigata) e la presenza di molte caverne, di cui è documentato un uso per la stabulazione degli animali domestici.
Nei livelli del Neolitico Antico sono distinguibili due fasi nella produzione ceramica: una caratterizzata da decorazione strumentale, collocabile tra 5800-5400 cal. BC; un’altra contraddistinta dalla comparsa della decorazione cardiale, compresa tra 5400-5100 cal. BC, la cui presenza in molti siti attesta la completa neolitizzazione di tutta la fascia costiera. Nella stessa grotta è stata rinvenuta la sepoltura di un maschio cosparso di ocra rossa (grotte multiuso).
Risalendo verso il Piemonte, nel sito di Alba le più antiche testimonianze del popolamento neolitico, rappresentate da frammenti ceramici, rimandano alla Ceramica Impressa ligure; a queste prime presenze, collocabili nei primi ¾ del 6°millennio cal. BC, segue un’estensione dello sfruttamento del territorio alla vasta pianura alluvionale del Tanaro, verificatasi tra fine del 6° e il primo quarto del 5° millennio. Frammenti di vasi e statuette indicano collegamenti con il gruppo del Vhò.
Le analisi paleobotaniche e archeozoologiche hanno dimostrato un’attività pratica dell’agricoltura e dell’allevamento, come in Liguria e diversamente dai gruppi padano-alpini; nel cuneese sono venuti in luce un fondo di capanna con probabile copertura fatta da tronchi ipostati a fior di terra legati da corde e rivestiti da fascine, ed un pozzo riutilizzato come fossa di scarico.
Il gruppo del Vhò, sviluppatosi tra fine del 6° e gli inizi del 5°millennio cal. BC, risulta esteso a buona parte della Pianura Padana. Compaiono vasi su piede o a collo con prese forate sull’orlo e boccali carenati; nella contigua facies di Fiorano trova analogie l’industria litica su scheggia. Alquanto originali sono alcune statuette femminili in terracotta con testa a calotta, di cui la meglio conservata è bicefala.
La selce utilizzata per l’industria su scheggia è quella “alpina” del Veronese; del tutto sporadica è invece l’ossidiana, che è assai rara anche in altri coevi contesti dell’Italia settentrionale. La circolazione della selce “alpina” e quella dell’ossidiana paiono distinguere nel primo Neolitico l’ambiente settentrionale da quello adriatico,
Con un’origine precoce rispetto alle altre entità territoriali dell’area padano-alpina, tra 5500-4800 cal. BC, la facies di Fiorano appare diffusa su un vasto territorio, dal Veneto attraverso l’Emilia e la Romagna fino alla Toscana. Un ruolo importante da essa svolto nel processo di neolitizzazione dell’Italia settentrionale è comprovato da alcuni suoi tipici elementi importati dagli altri gruppi e, proprio alla sua insorgenza, è imputabile la mancata penetrazione nella Pianura Padana della facies della Ceramica Impressa adriatica.
Relativamente alla produzione artigianale, le forme vascolari più caratteristiche sono boccali carenati, scodelle emisferiche e vasi a colletto quadri ansati, spesso con un tubercolo sulle anse, vasi ad alto collo con 4prese forate sull’orlo; la decorazione consiste in linee incise, di solito a coppia, e in impressioni minute costituite da punti piccoli o più grandi (“chicchi di grano”)o di forma allungata (“foglioline”). In ceramica grossolana sono realizzate olle quadri ansate con cordoni verticali. Il collegamento di questo repertorio con la Ceramica Lineare dell’Europa centrale, consiste in realtà in qualche generica affinità delle decorazioni in una produzione con marcate connotazioni autonome. L’industria litica scheggiata comprende bulini di Ripabianca (Marche), grattatoi frontali, troncature, becchi micro bulini; in quella levigata abbiamo bracciali-anelloni predominanti sulle asce ed accette. In un solo sito è segnalata la presenza di ossidiana.
Tra gli insediamenti merita rilievo quello di Lugo di Romagna, coperto da 14m di depositi alluvionale e eccezionalmente conservato. Impiantato nei pressi di un corso d’acqua, era protetto da una palizzata formata da tronchi di 4m infissi in una canaletta, da una sorta di argine sorretto da elementi di legno e da un piccolo fossato con funzione drenante. All’interno è stata trovata una grande capanna rettangolare distrutta da incendio, con pareti formate da canne rivestite in argilla, tetto a doppio spiovente sorretto da robusti pali, spazio interno suddiviso in 2ambienti: uno con focolare e forno, l’altro destinato alla conservazione e preparazione delle derrate alimentari. Nella trincea di posa della palizzata è stato trovato un vaso rovesciato sopra alla zampa di un cane (rito di fondazione).
Nel Veneto di notevole interesse p il vasto abitato di Lugo di Grezzana che ha portato ad estendere l’areale di diffusione della facies in esame ai Monti Lessini, alla zona cioè di approvvigionamento della selce “alpina” la cui lavorazione è attestata da officine litiche. Questo sito comprova il controllo da parte della comunità di Fiorano della circolazione della selce lessinica e, di conseguenza, un loro ruolo dominante sugli altri gruppi settentrionali. Tra la ceramica merita rilievo un piccolo boccale con un motivo antropomorfo.
Il gruppo dell’Isolino è documentato in pochi siti dell’area prealpina della Lombardia occidentale e del Canton Ticino, datato tra 5200-4600 cal. BC. La produzione ceramica è caratterizzata da boccali e vasi a collo non distinto con motivi geometrici incisi e da vasi si alto piede.
Nel Trentino Alto-Adige, tra la fine del 6° e l’inizio del 5°millennio cal. BC, si sviluppa il gruppo del Gaban, attestato in ripari sotto roccia frequentati in età mesolitica, ad eccezione del sito all’aperto de La Vela a bassa quota; nella valle dell’Isarco i siti sono invece tutti all’aperto. Nei ripari prevale un’economia di caccia e raccolta di tipo mesolitico.
Datazioni effettuate nella torbiera di Isera per livelli con presenza di cereali, ma privi di materiali archeologici, collocano tra 5520 e 5340 cal. BC la comparsa dell’agricoltura.
Passando alla produzione artigianale, le ceramiche e l’industria litica rivelano connessioni con i gruppi del Vhò, dell’Isolino e di Fiorano. Le forme vascolari comprendono vasi a colo alto o più basso e su piede, olle e ollette di varia forma, boccali carenati; i motivi decorativi consistono in grandi triangoli campiti da linee oblique, fasci di linee a zig-zag, bande campite a reticolo, motivi “a note musicali”.
Nell’industria litica strumenti tipici del primo Neolitico padano sono associati a elementi di tradizione mesolitica cui rinviano anche i manufatti in osso e corno, e gli ornamenti ottenuti da conchiglie marine.
Dal Riparo Gaban proviene una consistente produzione figurativa in corno, osso e denti di pietra: una figurina femminile su placca ossea, colorata con ocra rossa, ha le braccia appena abbozzate (limiti del supporto), una capigliatura resa sul dorso da una serie di incisioni, un collare con un pendaglio a semiluna, una cintura, largo ventre sormontato da un motivo alberiforme interpretato come simbolo di rinascita del mondo vegetale ad opera della dea madre. Di notevole interesse è un probabile strumento a fiato ricavato da un femore umano, in cui è rappresentato un volto sovrastante motivi geometrici.
È da ipotizzare che la diffusione del Neolitico nel bacino dell’Adige sia dovuta alla penetrazione di piccole comunità con economia produttiva acquisita, in maniera lenta e graduale, da parte dei gruppi autoctoni ed ormai completamente adottata verso gli inizi del 5°millennio cal. BC.
Nel Friuli le prime presenze neolitiche sono ricondotte a due gruppi denominati dai principali siti oggetto di indagini stratigrafiche: Fagnigola e Sammardenchia; le datazioni radiometriche indicano una lunga durata compresa tra circa 5500-4700 cal. BC. Caratterizzati entrambi da elementi di tipo Fiorano, la produzione ceramica del gruppo di Fagnigola non è adeguatamente identificabile, quella del gruppo di Sammardenchia è contraddistinta dalla presenza di decorazioni, quali motivi dipinti incisi o excisi a spirale, ricollegabili alle facies trans adriatiche di Dànilo e Hvar. A Sammardenchia sono state rinvenute statuine il cui sesso femminile è resi con pochi dettagli in una realizzazione piuttosto sommaria ed alcuni idoletti frammentari decorati con linee incise, ricollegabili a quelli della cosiddetta “ceramica falloide” di Dànilo, interpretati come rappresentazioni connesse al culto della fertilità.
A Fagnigola sono stati messi in luce numerosi pozzetti cilindrici, talora con un rivestimento delle pareti in argilla e probabile primaria funzione di sili. Particolare rilievo meritano un grande pozzo di circa 4m di diametro, usato come cisterna per la raccolta dell’acqua e successivamente anch’esso per lo scarico dei rifiuti. Nel sito di Piancada c’è un ampio canale con abbondanti resti di faune domestiche sul fondo e resti della sepoltura di una bimba.
Nel Carso triestino è documentato il gruppo dei Vasi a Coppa, collocabile tra 5400-4800 cal. BC. Il nome deriva dalla forma vascolare più caratteristica, costituita dal vaso a corpo globulare o ovoidale su piede, scodelle e un tipo di vaso a quattro gambe con probabile destinazione rituale, detto rython.
In Romagna le prime fasi di neolitizzazione appaiono collocabili in una fase avanzata della Ceramica Impressa medio-adriatica; nell’industria litica merita rilievo un’alta percentuale di manufatti in ossidiana di Palamrola e di Lipari che, in contrapposizione ai rari elementi segnalati più a nord, costituisce una consistente presenza segnando nel sito in esame il limite settentrionale adriatico della vasta diffusione di questa materia prima.
LA FACIES DEI
VASI A BOCCA QUADRATA (VBQ)
Nel pieno Neolitico alle varie entità territoriali della fase più antica si sostituisce una facies unitaria, quella dei Vasi a Bocca Quadrata, così chiamata dalla peculiare imboccatura delle tipiche forme vascolari. Si sviluppa dalla fine del 6° a tutti il 5°millennio cal. BC. Nella lunga evoluzione della facies sono distinti 3stili:
le prime manifestazioni sono riconducibili allo stile geometrico-lineare (VBQ1), di cui in Liguria e in Emilia sono stati identificati aspetti formativi in un’ampia durata estesa dalla fine del 6° alla metà del 5°millennio cal. BC. Diffuso in Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino Alto-Adige, Emilia e Romagna, è caratterizzato da una decorazione prevalentemente a graffito costituita da linee che delimitano nastri o più larghe bande campiti da tratti orizzontali, obliqui, a reticolo ecc.. Le forme vascolari tipiche si contraddistinguono per la bocca quadrilobata o quadrata; a profilo articolato sono vasi a collo con corpo di varia forma più o meno espanso o solo distinto dall’alto collo in forme definite “bicchieri”. Analoghe forme si ripropongono in olle a bocca rotonda, tra cui sono compresi i vasi su alto piede. L’industria litica viene ben presto a differenziarsi soprattutto per la comparsa delle cuspidi foliate, rappresentate in questa prima fase da tipi a faccia piana con peduncolo o a base rettilinea: il loro tipo di immanicatura è documentato dal ritrovamento nella torbiera di Fimon Molino Casarotto, di una cuspide fissata con mastice e con un sottile legaccio all’estremità di un’asticciola di legno incavata.
Lo stile geometrico lineare viene gradualmente sostituito da un nuovo gusto decorativo dinamico, definito stile meandro-spiralico (VBQ2), sviluppatosi dal 4600 al 4200 cal. BC e ben rappresentato in Emilia, nel Veneto soprattutto nel veronese, nel Trentino Alto-Adige, nella Lombardia orientale e in Piemonte; in Liguria poco, probabilmente per una precoce diffusione degli aspetti di Chassey del tardo Neolitico. I motivi sono realizzati a graffito, a incisione ed anche ad excisione e consistono in spirali, meandri, festoni. Nel repertorio vascolare compaiono nuove forme, quali le scodelle con orlo a tesa decorato e i coperchi; tra quelle a bocca quadrata le scodelle prevalgono sulle forme chiuse, mentre diminuiscono molto i “bicchieri”. Anche le pintadere presentano decorazione meandro-spiraliche. Nell’industria litica diminuiscono le cuspidi di freccia a faccia piana e compaiono nuovi tipi amigdalari.
Sono stati rilevati collegamenti con la produzione più tarda della facies di Dànilo e la prima di quella di Hvar; contatti con l’ambiente transalpino sono attestati da scalpelli trovati nelle sepolture di La Vela in Trentino.
In parziale contemporaneità con lo stile meandro-spiralico si sviluppa lo stile a incisioni e impressioni (VBQ3) che dura dal 4500 al 4000/3800 cal. BC, probabilmente a seguito di influssi dall’ambiente transalpino. Caratterizzato da motivi incisi o impressi a zig-zag, a spina di pesce, a file di punti e di triangoli campiti a tratteggio, il repertorio vascolare comprende olle, ollette e scodelle a bocca quadrata a quattro beccucci, ottenuti slabbrando l’orlo verso l’esterno. Le pintadere presentano motivi a zig-zag. Alle cuspidi di freccia dello stile precedente si associano tipi a losanga e a tranciante trasversale.
La diffusione della facies VBQ può essere imputabile a una forte adattabilità economica alle più variate condizioni ambientali. Meritano rilievo i dati emersi dalla stratigrafia delle Arene Candide in Liguria, in cui nei livelli soprastanti a quelli della ceramica impressa compare la capra (importata da oriente) insieme ai bovini; il consumo di latte vaccino è confermato dall’insorgenza della tubercolosi spinale riscontrata nello scheletro di un adolescente. La caverna era occupata tutto l’anno e al suo interno pecore, capre e bovini erano tenuti entro recinti di legno.
Anche nell’agricoltura tecniche più efficienti sono attestate da un nuovo tipo di falcetto con elementi rettangolari costituiti da larghe lame. S’intensifica la circolazione delle materie prime, selce, pietre verdi e anche ossidiana, interpretata come elemento di prestigio anziché vera e propria materia prima.
Passando agli insediamenti, in Emilia recenti scavi hanno portato in luce abitati con annesse necropoli. Nel Veneto l’insediamento di Fimon-Molino Casarotto, riferibile alla fase VBQ1, ha restituito un’esauriente documentazione delle strutture di bonifica messe in opera in ambiente umido, consistenti in piattaforme formate da pali orizzontali disposti regolarmente e trattenute da pali verticali, al centro delle quali ogni capanna aveva un focolare che veniva rigenerato sopraelevandosi di oltre 1m sul pavimento, probabilmente per ottenere un migliore tiraggio attraverso un foro centrale del tetto; gli scarti di materiali erano localizzati sul retro delle capanne.
Nel Trentino-Alto Adige l’occupazione dei ripari perdura fino alla fase VBQ1, per poi risultare quasi tutti abbandonati quando l’abitato all’aperto de La Vela raggiunge la sua massima espansione, comprovata dall’impianto di una necropoli.
Alquanto ricca è la documentazione funeraria: in Liguria le sepolture sono in grotta, nella Pianura Padana in prossimità o all’interno degli abitati. Alla fase VBQ1 sono attribuite le rombe con inumati in posizione rannicchiata delle Arene Candide, consistenti in ciste litiche per gli adulti, dotati di corredi assai poveri, e in semplici fosse per i bambini, privi di corredo.
Nella necropoli della fase VBQ2 de La Vela sono state messe in luce 15sepolture in cista litica o delimitate da un recinto di pietre con inumati in posizione rannicchiata o molto rattratta, comprendenti uomini, donne e bambini. I corredi sono contraddistinti dalla presenza di oggetti di prestigio esotici; corredi estesi anche ai bambini. Tutto ciò induce a ipotizzare un accesso alla necropoli riservato ad un determinato segmento sociale (ma diversificazione sociale è episodio isolato).
In Emilia tra i più recenti rinvenimenti merita rilievo Vicofertile, dove sono venute in luce 6sepolture in fosse semplici, tra cui una di bimbo isolata; degli inumati, con gambe flesse, tre avevano un corredo costituito da un’ascia levigata, e una lama in ossidiana nella tomba di un giovane; particolare rilevanza ha la sepoltura centrale di una donna di 40anni: un piccolo vaso a bocca quadrata, un vasetto in stile meridionale, una statuetta femminile posta davanti al volto (forse sacerdotessa?). La posizione centrale della sepoltura è stata interpretata come intento di accentuare il ruolo sociale di quella donna.
Nel pieno Neolitico alle varie entità territoriali della fase più antica si sostituisce una facies unitaria, quella dei Vasi a Bocca Quadrata, così chiamata dalla peculiare imboccatura delle tipiche forme vascolari. Si sviluppa dalla fine del 6° a tutti il 5°millennio cal. BC. Nella lunga evoluzione della facies sono distinti 3stili:
le prime manifestazioni sono riconducibili allo stile geometrico-lineare (VBQ1), di cui in Liguria e in Emilia sono stati identificati aspetti formativi in un’ampia durata estesa dalla fine del 6° alla metà del 5°millennio cal. BC. Diffuso in Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino Alto-Adige, Emilia e Romagna, è caratterizzato da una decorazione prevalentemente a graffito costituita da linee che delimitano nastri o più larghe bande campiti da tratti orizzontali, obliqui, a reticolo ecc.. Le forme vascolari tipiche si contraddistinguono per la bocca quadrilobata o quadrata; a profilo articolato sono vasi a collo con corpo di varia forma più o meno espanso o solo distinto dall’alto collo in forme definite “bicchieri”. Analoghe forme si ripropongono in olle a bocca rotonda, tra cui sono compresi i vasi su alto piede. L’industria litica viene ben presto a differenziarsi soprattutto per la comparsa delle cuspidi foliate, rappresentate in questa prima fase da tipi a faccia piana con peduncolo o a base rettilinea: il loro tipo di immanicatura è documentato dal ritrovamento nella torbiera di Fimon Molino Casarotto, di una cuspide fissata con mastice e con un sottile legaccio all’estremità di un’asticciola di legno incavata.
Lo stile geometrico lineare viene gradualmente sostituito da un nuovo gusto decorativo dinamico, definito stile meandro-spiralico (VBQ2), sviluppatosi dal 4600 al 4200 cal. BC e ben rappresentato in Emilia, nel Veneto soprattutto nel veronese, nel Trentino Alto-Adige, nella Lombardia orientale e in Piemonte; in Liguria poco, probabilmente per una precoce diffusione degli aspetti di Chassey del tardo Neolitico. I motivi sono realizzati a graffito, a incisione ed anche ad excisione e consistono in spirali, meandri, festoni. Nel repertorio vascolare compaiono nuove forme, quali le scodelle con orlo a tesa decorato e i coperchi; tra quelle a bocca quadrata le scodelle prevalgono sulle forme chiuse, mentre diminuiscono molto i “bicchieri”. Anche le pintadere presentano decorazione meandro-spiraliche. Nell’industria litica diminuiscono le cuspidi di freccia a faccia piana e compaiono nuovi tipi amigdalari.
Sono stati rilevati collegamenti con la produzione più tarda della facies di Dànilo e la prima di quella di Hvar; contatti con l’ambiente transalpino sono attestati da scalpelli trovati nelle sepolture di La Vela in Trentino.
In parziale contemporaneità con lo stile meandro-spiralico si sviluppa lo stile a incisioni e impressioni (VBQ3) che dura dal 4500 al 4000/3800 cal. BC, probabilmente a seguito di influssi dall’ambiente transalpino. Caratterizzato da motivi incisi o impressi a zig-zag, a spina di pesce, a file di punti e di triangoli campiti a tratteggio, il repertorio vascolare comprende olle, ollette e scodelle a bocca quadrata a quattro beccucci, ottenuti slabbrando l’orlo verso l’esterno. Le pintadere presentano motivi a zig-zag. Alle cuspidi di freccia dello stile precedente si associano tipi a losanga e a tranciante trasversale.
La diffusione della facies VBQ può essere imputabile a una forte adattabilità economica alle più variate condizioni ambientali. Meritano rilievo i dati emersi dalla stratigrafia delle Arene Candide in Liguria, in cui nei livelli soprastanti a quelli della ceramica impressa compare la capra (importata da oriente) insieme ai bovini; il consumo di latte vaccino è confermato dall’insorgenza della tubercolosi spinale riscontrata nello scheletro di un adolescente. La caverna era occupata tutto l’anno e al suo interno pecore, capre e bovini erano tenuti entro recinti di legno.
Anche nell’agricoltura tecniche più efficienti sono attestate da un nuovo tipo di falcetto con elementi rettangolari costituiti da larghe lame. S’intensifica la circolazione delle materie prime, selce, pietre verdi e anche ossidiana, interpretata come elemento di prestigio anziché vera e propria materia prima.
Passando agli insediamenti, in Emilia recenti scavi hanno portato in luce abitati con annesse necropoli. Nel Veneto l’insediamento di Fimon-Molino Casarotto, riferibile alla fase VBQ1, ha restituito un’esauriente documentazione delle strutture di bonifica messe in opera in ambiente umido, consistenti in piattaforme formate da pali orizzontali disposti regolarmente e trattenute da pali verticali, al centro delle quali ogni capanna aveva un focolare che veniva rigenerato sopraelevandosi di oltre 1m sul pavimento, probabilmente per ottenere un migliore tiraggio attraverso un foro centrale del tetto; gli scarti di materiali erano localizzati sul retro delle capanne.
Nel Trentino-Alto Adige l’occupazione dei ripari perdura fino alla fase VBQ1, per poi risultare quasi tutti abbandonati quando l’abitato all’aperto de La Vela raggiunge la sua massima espansione, comprovata dall’impianto di una necropoli.
Alquanto ricca è la documentazione funeraria: in Liguria le sepolture sono in grotta, nella Pianura Padana in prossimità o all’interno degli abitati. Alla fase VBQ1 sono attribuite le rombe con inumati in posizione rannicchiata delle Arene Candide, consistenti in ciste litiche per gli adulti, dotati di corredi assai poveri, e in semplici fosse per i bambini, privi di corredo.
Nella necropoli della fase VBQ2 de La Vela sono state messe in luce 15sepolture in cista litica o delimitate da un recinto di pietre con inumati in posizione rannicchiata o molto rattratta, comprendenti uomini, donne e bambini. I corredi sono contraddistinti dalla presenza di oggetti di prestigio esotici; corredi estesi anche ai bambini. Tutto ciò induce a ipotizzare un accesso alla necropoli riservato ad un determinato segmento sociale (ma diversificazione sociale è episodio isolato).
In Emilia tra i più recenti rinvenimenti merita rilievo Vicofertile, dove sono venute in luce 6sepolture in fosse semplici, tra cui una di bimbo isolata; degli inumati, con gambe flesse, tre avevano un corredo costituito da un’ascia levigata, e una lama in ossidiana nella tomba di un giovane; particolare rilevanza ha la sepoltura centrale di una donna di 40anni: un piccolo vaso a bocca quadrata, un vasetto in stile meridionale, una statuetta femminile posta davanti al volto (forse sacerdotessa?). La posizione centrale della sepoltura è stata interpretata come intento di accentuare il ruolo sociale di quella donna.
IL TARDO
NEOLITICO
Negli ultimi secoli del 5°millennio cal. BC viene a disgregarsi l’omogeneità culturale verificatasi nell’ambito della facies VBQ. Si sviluppano aspetti di derivazione occidentale, ricollegabili alla facies di Chassey della Francia meridionale, ad eccezione della Romagna in cui si diffondono aspetti peninsulari.
Gli aspetti occidentali, interrompendo lo sviluppo della facies VBQ, sono precocemente attestati in Liguria e Piemonte, dove è stata ipotizzata la penetrazione da ovest di gruppi umani sulla base di una serie di dati, tra cui la provenienza francese del 50% della selce rinvenuta nei livelli del Tardo Neolitico delle Arene Candide. La produzione ceramica, d’impasto fine a superfici lisciate e lucide, è costituita da olle e dolii globulari con orlo a colletto e “anse a flauto di Pan”, tazze carenate, scodelle tronco-coniche con decorazione graffita e a calotta con bugne forate.
Nell’espansione di questi aspetti verso l’area padana caratteri peculiari sono stati riconosciuti nella facies di Lagozza presso Varese, in cui venne in luce un abitato palafitticolo con una grande quantità di materiali.
La ceramica d’impasto fine, a superfici lucide di colore bruno o nero, comprende olle globulari con orlo a colletto e bugne forate verticalmente funzionali alla sospensione, coperchi con ricca decorazione incisa e a cerchielli impressi. Abbondanti sono le fusaiole, decorate con motivi radiali realizzati con incisioni o file di punti impressi, e i pesi da telaio reniformi; tessitura è documentata anche da un pettine in legno.
Un altro aspetto peculiare, datato tra gli ultimi secoli del 5° e i primi del 4°millennio cal. BC, è stato riconosciuto in un areale compreso tra il basso Canton Ticino, il Bergamasco e il Bresciano, definito “aspetto di Breno”, con associazione di elementi di tipo VBQ, Lagozza e transalpini.
Gli aspetti peninsulari della Romagna sono stati identificati in produzioni ceramiche con elementi di tipo Diana e Ripoli tardo, facies originarie dell’Italia meridionale e dell’Abruzzo. Al repertorio di Diana rinviano olle e scodelle con le caratteristiche prese a rocchetto; a quello di Ripoli soprattutto un tipo di presa canaliculata a margini fortemente rilevati con apici a lobo.
Negli ultimi secoli del 5°millennio cal. BC viene a disgregarsi l’omogeneità culturale verificatasi nell’ambito della facies VBQ. Si sviluppano aspetti di derivazione occidentale, ricollegabili alla facies di Chassey della Francia meridionale, ad eccezione della Romagna in cui si diffondono aspetti peninsulari.
Gli aspetti occidentali, interrompendo lo sviluppo della facies VBQ, sono precocemente attestati in Liguria e Piemonte, dove è stata ipotizzata la penetrazione da ovest di gruppi umani sulla base di una serie di dati, tra cui la provenienza francese del 50% della selce rinvenuta nei livelli del Tardo Neolitico delle Arene Candide. La produzione ceramica, d’impasto fine a superfici lisciate e lucide, è costituita da olle e dolii globulari con orlo a colletto e “anse a flauto di Pan”, tazze carenate, scodelle tronco-coniche con decorazione graffita e a calotta con bugne forate.
Nell’espansione di questi aspetti verso l’area padana caratteri peculiari sono stati riconosciuti nella facies di Lagozza presso Varese, in cui venne in luce un abitato palafitticolo con una grande quantità di materiali.
La ceramica d’impasto fine, a superfici lucide di colore bruno o nero, comprende olle globulari con orlo a colletto e bugne forate verticalmente funzionali alla sospensione, coperchi con ricca decorazione incisa e a cerchielli impressi. Abbondanti sono le fusaiole, decorate con motivi radiali realizzati con incisioni o file di punti impressi, e i pesi da telaio reniformi; tessitura è documentata anche da un pettine in legno.
Un altro aspetto peculiare, datato tra gli ultimi secoli del 5° e i primi del 4°millennio cal. BC, è stato riconosciuto in un areale compreso tra il basso Canton Ticino, il Bergamasco e il Bresciano, definito “aspetto di Breno”, con associazione di elementi di tipo VBQ, Lagozza e transalpini.
Gli aspetti peninsulari della Romagna sono stati identificati in produzioni ceramiche con elementi di tipo Diana e Ripoli tardo, facies originarie dell’Italia meridionale e dell’Abruzzo. Al repertorio di Diana rinviano olle e scodelle con le caratteristiche prese a rocchetto; a quello di Ripoli soprattutto un tipo di presa canaliculata a margini fortemente rilevati con apici a lobo.
La coltivazione di cereali e legumi
non rivela particolari modifiche rispetto alle fasi precedenti; elementi di
novità sono costituiti da un maggior interesse per la frutta, soprattutto per
le mele, e dall’introduzione del lino e del papavero da oppio.
Oltre a Lagozza, un abitato palafitticolo è quello di Palù di Livenza (Pordenone).
Ubicato su terrazzi attorno alla cima di una collina è l’insediamento del Castello di Breno, dove, in prossimità di una probabile abitazione rettangolare, è venuta in luce un’area con piccole strutture di pietre e blocchi. Nell’abitato di Sant’Andrea a Travo (Piacenza) gli scavi hanno portato in luce grandi capanne rettangolari, fosse di combustione e sili; la disposizione di queste strutture denota una precisa organizzazione spaziale, nella quale la concentrazione in aree specifiche dei sili e delle fosse di combustione pare indicare attività collettive (passo avanti in struttura sociale). Ad Alba (CN) al Neolitico Recente è riferibile una capanna rettangolare; l’assenza di buche di pali presuppone una copertura autoportante come in quella del Neolitico Antico.
Le testimonianze funerarie di questa fase più tarda sono limitate al rinvenimento di elementi di corredo di un numero imprecisato di tombe alla Rocca di Rivoli (VR) riferibili alle ultime manifestazioni della facies VBQ, insieme a due sole statuette frammentarie, la cui rarefazione potrebbe essere imputabile alla predominanza di influssi dell’ambiente occidentale in sostituzione delle più marcate interrelazioni con l’ambiente balcanico delle fasi precedenti.
Oltre a Lagozza, un abitato palafitticolo è quello di Palù di Livenza (Pordenone).
Ubicato su terrazzi attorno alla cima di una collina è l’insediamento del Castello di Breno, dove, in prossimità di una probabile abitazione rettangolare, è venuta in luce un’area con piccole strutture di pietre e blocchi. Nell’abitato di Sant’Andrea a Travo (Piacenza) gli scavi hanno portato in luce grandi capanne rettangolari, fosse di combustione e sili; la disposizione di queste strutture denota una precisa organizzazione spaziale, nella quale la concentrazione in aree specifiche dei sili e delle fosse di combustione pare indicare attività collettive (passo avanti in struttura sociale). Ad Alba (CN) al Neolitico Recente è riferibile una capanna rettangolare; l’assenza di buche di pali presuppone una copertura autoportante come in quella del Neolitico Antico.
Le testimonianze funerarie di questa fase più tarda sono limitate al rinvenimento di elementi di corredo di un numero imprecisato di tombe alla Rocca di Rivoli (VR) riferibili alle ultime manifestazioni della facies VBQ, insieme a due sole statuette frammentarie, la cui rarefazione potrebbe essere imputabile alla predominanza di influssi dell’ambiente occidentale in sostituzione delle più marcate interrelazioni con l’ambiente balcanico delle fasi precedenti.
IL NEOLITICO NELL’ITALIA CENTRALE
IL VERSANTE
ADRIATICO
La facies della Ceramica Impressa medio-adriatica
Illustrando i processi di neolitizzazione dell’Italia settentrionale, in particolare della Romagna, già è stato fatto riferimento alla Ceramica Impressa medio-adriatica. Documentata in numerosi siti dell’Abruzzo e delle Marche, l’area di diffusione raggiunge ad ovest l’Umbria e il territorio laziale in cui compare con alcuni elementi associati ad altre facies diverse. In base alla quasi totalità delle datazioni radiometriche disponibili, risulta svilupparsi in un arco cronologico compreso tra 5600 e 5100 cal. BC (un precoce inizio forse anche tra 5800-5600 cal. BC). La sua collocazione in termini di cronologia relativa è documentata in alcune serie stratigrafiche di depositi in grotta dell’Abruzzo, dove si ripropone una sequenza articolata in Ceramica Impressa, facies di Catignano e facies di Ripoli.
Una fase più recente, riferibile agli ultimi secoli del 6° millennio cal. BC, è rappresentata nei complessi di Ripabianca (Ancona) e della Grotta dei Piccioni, contraddistinti da una più vasta rete di contatti con altre aree come viene, ad esempio, ad indicare la comparsa dei “bulini di Ripabianca” tipici del primo Neolitico padano-alpino.
In merito alla produzione artigianale, nella ceramica grossolana predominano olle ed ollette ronco-ovoidali con fondo a tacco e decorazione impressa i incisa coprente l’intera superficie. Le impressioni sono realizzate a unghiate, a ditate o con strumenti da cui sono ottenuti punti e cerchielli. Raramente le due tecniche sono associate; la frequente predominanza dell’impressione non costituisce un indizio di arcaicità, essendo predominante l’incisione nei livelli più bassi di alcuni siti.
La ceramica fine, inornata, comprende vasi a collo con anse o con listelli verticali forati idonei alla sospensione, ciotole carenate e scodelle. Peculiari dei contesti cultuali di Grotta Continenza e Grotta Sant’Angelo sono alcune ollette globulari con fori sull’orlo o con prese forate; a Colle Santo Stefano, come rito di fondazione è stata interpretata la deposizione in una fossetta circondata da ciottoli di un vaso zoomorfo, rotto intenzionalmente. L’industria litica è prevalentemente su lama, con un possibile collegamento alla tradizione mesolitica indiziata dall’uso della tecnica del micro bulino e dalla presenza di geometrici; numerosi sono gli elementi di falcetto. Le industrie in materia dura animale, oltre a punte e punteruoli, spatole, zappette, aghi ed ami, comprendono anche ornamenti tra cui costituisce un unicum un pendaglio in lamina d’osso con due appendici acuminate, che sembra riprodurre un dente molare umano. Solo a Ripabianca sono state rinvenute 3statuette fittili schematiche.
La facies della Ceramica Impressa medio-adriatica
Illustrando i processi di neolitizzazione dell’Italia settentrionale, in particolare della Romagna, già è stato fatto riferimento alla Ceramica Impressa medio-adriatica. Documentata in numerosi siti dell’Abruzzo e delle Marche, l’area di diffusione raggiunge ad ovest l’Umbria e il territorio laziale in cui compare con alcuni elementi associati ad altre facies diverse. In base alla quasi totalità delle datazioni radiometriche disponibili, risulta svilupparsi in un arco cronologico compreso tra 5600 e 5100 cal. BC (un precoce inizio forse anche tra 5800-5600 cal. BC). La sua collocazione in termini di cronologia relativa è documentata in alcune serie stratigrafiche di depositi in grotta dell’Abruzzo, dove si ripropone una sequenza articolata in Ceramica Impressa, facies di Catignano e facies di Ripoli.
Una fase più recente, riferibile agli ultimi secoli del 6° millennio cal. BC, è rappresentata nei complessi di Ripabianca (Ancona) e della Grotta dei Piccioni, contraddistinti da una più vasta rete di contatti con altre aree come viene, ad esempio, ad indicare la comparsa dei “bulini di Ripabianca” tipici del primo Neolitico padano-alpino.
In merito alla produzione artigianale, nella ceramica grossolana predominano olle ed ollette ronco-ovoidali con fondo a tacco e decorazione impressa i incisa coprente l’intera superficie. Le impressioni sono realizzate a unghiate, a ditate o con strumenti da cui sono ottenuti punti e cerchielli. Raramente le due tecniche sono associate; la frequente predominanza dell’impressione non costituisce un indizio di arcaicità, essendo predominante l’incisione nei livelli più bassi di alcuni siti.
La ceramica fine, inornata, comprende vasi a collo con anse o con listelli verticali forati idonei alla sospensione, ciotole carenate e scodelle. Peculiari dei contesti cultuali di Grotta Continenza e Grotta Sant’Angelo sono alcune ollette globulari con fori sull’orlo o con prese forate; a Colle Santo Stefano, come rito di fondazione è stata interpretata la deposizione in una fossetta circondata da ciottoli di un vaso zoomorfo, rotto intenzionalmente. L’industria litica è prevalentemente su lama, con un possibile collegamento alla tradizione mesolitica indiziata dall’uso della tecnica del micro bulino e dalla presenza di geometrici; numerosi sono gli elementi di falcetto. Le industrie in materia dura animale, oltre a punte e punteruoli, spatole, zappette, aghi ed ami, comprendono anche ornamenti tra cui costituisce un unicum un pendaglio in lamina d’osso con due appendici acuminate, che sembra riprodurre un dente molare umano. Solo a Ripabianca sono state rinvenute 3statuette fittili schematiche.
With love , D. ❤
0 commenti:
Posta un commento